Perché in Italia non esiste un Front National

Con il Msi aveva radici comuni, ma i suoi eredi le hanno dilapidate Ricaduti in vecchi schemi, non hanno capito la forza del populismo

Perché in Italia non esiste un Front National

Nato in Francia agli inizi degli anni Settanta, il Front National sembrò qui da noi una clonazione del Movimento Sociale Italiano, sorta di «nipote povero» di cui questi poteva un po' gloriarsi (la Destra Nazionale esportata all'estero) e un po' vergognarsi (l'estremismo d'oltralpe che come un boomerang andava a ingigantire quello casalingo). Quarant'anni dopo, dello «zio italiano» non c'è più traccia, nonostante un lavacro purificatore, l'acqua di Fiuggi con cui vennero espulsi i calcoli fascisti, e il conseguente, lungo approdo governativo conclusosi con il suo scioglimento obtorto collo. Ciò che ne resta è un sottotraccia, pittoresco e insieme malinconico, una specie di «testimonianza» senza più nulla da testimoniare. Il patrimonio, piccolo o grande che fosse, è stato dilapidato da quegli stessi che ora lo vorrebbero indietro. L'hanno speso, non tornerà più.
L'impresentabile e gracile nipotino francese di un tempo, si è invece nel tempo irrobustito e, stando ai dati delle ultime amministrative, si avvia a divenire il primo partito di quel Paese. È cambiato, molto cambiato, rispetto a quando nacque, e vedere come e perché aiuta forse a capire le ragioni del suo successo e, in un gioco di specchi, il perché dell'altro decesso.
Il primo elemento da considerare è che, partito dall'estrema destra, il Front National è divenuto negli anni un movimento nazional-populista. Ha sostituito cioè la classica impostazione assiale della politica (destra-sinistra-centro) con un nuovo modello. Il populismo è una realtà che le categorie tradizionali non comprendono e dalla quale rifuggono, tentandone infatti la delegittimazione. La sua complessità consiste proprio nella sua apparente semplicità: c'è un popolo che sta in basso, che non si sente rappresentato, che non ne può più della classe dirigente al potere, che avverte in maniera drammatica la crisi economica e la «frattura» sociale, che si vede prospettare modelli e sistemi di vita non suoi e si sente sempre più insicuro e indifeso.
Questo cambiamento, in Francia è andato di pari passo con quella che un pensatore intelligente e non conformista come Alain de Benoist ha definito la «orleanizzazione degli ambienti nazionali», ovvero il liberismo della destra post-gollista, sempre più tesa al libero mercato, alla globalizzazione, all'accento sugli elementi commerciali e mercantili, in una deriva elitaria e classista che ne ha visto poi l'implosione, dopo la rovinosa sconfitta alle ultime presidenziali di Nicolas Sarkozy.
Sul versante opposto, il percorso della «gauche» è stato similare, in un allineamento al sistema dominante che nel penalizzarne l'elettorato classico si allontanava sempre più da un politica popolare, finendo in pratica con l'essere interscambiabile rispetto al suo concorrente usuale. Non è un caso che questa destra e questa sinistra si siano sempre e comunque alleate contro il Front National. Possono sopravvivere solo se lo escludono. E il futuro di Marine Le Pen si gioca nel suo riuscire a far fuori uno dei due attori, possibilmente l'Ump post-Sarkozy, più pericoloso perché, a parole, teorico di una rispettabilità nazionale sempre agitata nei momenti di difficoltà.
L'«elettorato naturale» del Front National non è dunque il «popolo di destra», ma, come già accennato, il popolo che sta in basso, e in questa identificazione, sta la ragione del suo successo elettorale: nel suo mantenerla, la chiave di quello futuro.
Se passiamo all'Italia, si vedrà come il nostro orizzonte politico sia del tutto diverso. Ci sono sostanzialmente due partiti populisti, quello leghista e quello grillino. La forza del primo sta paradossalmente nella sua debolezza: il localismo secessionista. Può sfasciare il Paese, ma non può rappresentarlo e che una o due regioni, nello sfascio, si salvino, è materia di dubbio. Quanto al MoVimento Cinque Stelle, raccoglie trasversalmente, e su tutto il territorio, un sentimento di protesta che non accenna a diminuire. Al netto di errori e di inesperienza, resta un protagonista della scena politica, ma sconta forse un moralismo di base (gli altri, tutti gli altri, sono dei «ladri» e basta…) che come appeal nazional-popolare non è sufficiente. E tanto meno lo è la democrazia della Rete…
Ci sono poi gli altri due schieramenti, da anni contrapposti, il centro-destra e il centro-sinistra, dove gli elementi populisti, presenti e/o in fieri, sono però ingabbiati dal leaderismo, vecchio e nuovo, quale materia fondante.

Lo sperimentato berlusconismo si dimostra in affanno, il renzismo ultimo arrivato si presenta invece con il vento in poppa, tipico di chi è percepito come «unica» e forse ultima chance… Lo attende però la prova dei fatti, e al momento è una cambiale in bianco…
Perché un lepenismo approdi anche da noi, occorrerebbero insomma un po' troppi fattori, non ultimo dei quali quello nazional-identitario, molto più debole e in crisi rispetto ai «cugini» francesi. Si può solo dire che Marine le Pen ha imparato nel tempo, cosa che i suoi distratti padrini di battesimo nel tempo invece non hanno fatto. E la storia, si sa, non ripassa mai due volte lo stesso piatto.

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