Roma - Da tre giorni, al Nazareno (sede nazionale del Pd) si è rotta l'aria condizionata, e non ci sono grandi speranze che venga riparata in tempo per il summit di domani sera.
«Si preannuncia una Direzione molto calda», ironizza Paolo Gentiloni. In verità, nelle intenzioni del gruppo dirigente, la riunione di domani non deve servire assolutamente a nulla, non deve votare né decidere nulla. Anzi: Epifani ha intenzione di continuare a svicolare e traccheggiare sulla data del Congresso e sulle regole per le primarie, rinviando tutto ad una futura Assemblea nazionale, alla ripresa autunnale. Su questo daranno battaglia i renziani (che non temono trappole sulle regole perché, spiegano, «quelli non hanno i numeri per approvarne di nuove, se a noi non piacciono»). Mentre ieri è venuto allo scoperto un variegato fronte, da Goffredo Bettini al sindaco di Bologna Merola al candidato alla segreteria Pittella, che invita il Pd a «rendere chiaro gli italiani il carattere di scopo e limitato dell'esecutivo Letta», che deve limitarsi a promuovere al più presto una nuova legge elettorale e pochi «urgentissimi provvedimenti economici», per poi tenersi pronti ad andare a nuove elezioni «scegliendo attraverso le primarie la personalità che davvero abbia più probabilità di vincere e far voltare pagina all'Italia». Su chi sia questa personalità, i promotori non hanno alcun dubbio: Renzi.
Ma sono proprio gli umori anti-governativi che rischiano di venire fuori, domani, da quell'ala malpancista contro le larghe intese che, dopo la sentenza di Cassazione, fa sempre più fatica a nascondere la propria insofferenza. Anche per questo Enrico Letta ha deciso di andare di persona a presidiare la riunione, per evitare che - lui assente - il dibattito si trasformi in un processo contro il governo.
La novità (ogni tanto ne fornisce pure il Pd) è che il fronte anti-governativo non fa capo a Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze romperà stasera il silenzio che si è autoimposto, parlando a due feste del Pd in Emilia Romagna, ma difficilmente si farà estorcere dichiarazioni imprudenti. Le due uscite sono soprattutto un test per la sua popolarità nel partito, in vista della scalata alla segreteria, e per mandare un messaggio chiaro a chi, a Roma, cerca ancora di fargli le scarpe: altro che outsider, oggi Renzi è percepito dalla base come l'unico possibile salvatore della patria Pd.
Ad essere irrequieti e critici sono piuttosto il segretario Epifani, l'ex segretario Bersani, e l'area dei dalemiani e Giovani Turchi. Bersani ha riunito i suoi all'indomani della sentenza di Cassazione e ha dichiarato rotta la tregua con Enrico Letta, che non solo gli ha soffiato Palazzo Chigi ma che non sembra neppure voler osteggiare fino in fondo l'avanzata di Renzi. Anzi, sospettano i bersaniani, il premier potrebbe alla fine seguire il consiglio che molti gli danno, e che Peppe Fioroni spiega così: «Invece di farsi la guerra, Matteo e Enrico devono fare subito un patto: il primo, a tempo debito, farà il candidato premier e il secondo gli lascerà campo e avrà un ruolo di primo piano nell'Ue». Certo i tempi dei due differiscono: per Letta il governo deve durare più a lungo possibile, almeno fino al 2015, per Renzi la prossima primavera è un orizzonte ragionevole.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.