RomaIl presidente del Consiglio esulta via Twitter. «Ce l'abbiamo fatta!», scrive Enrico Letta. E prosegue: «Commissione Ue annuncia ora ok a più flessibilità per prossimi bilanci per Paesi come Italia con conti in ordine». In effetti, la Commissione europea ha accolto una richiesta italiana di scorporare dal calcolo del deficit la quota nazionale di co-finanziamento dei fondi europei. Sulla carta si tratta di cifre importanti: 41,3 miliardi di euro da oggi al 2020. Nel dettaglio, restano da spendere fino al 2015 circa 31 miliardi di Fondi europei; con una quota nazionale di 12,3 miliardi. A questi, si aggiungono i 29 miliardi di co-finanziamento, previsti dal Programma Ue 2015-2020. Nel complesso, fanno quasi 7 miliardi all'anno (6,8, per l'esattezza), che equivalgono allo 0,4% del Pil all'anno.
Tutto oro ciò che luccica?
Sulla carta, quindi, Bruxelles ha autorizzato i Paesi che non hanno procedure per deficit eccessivi in corso (l'Italia ne è appena uscita) a non calcolare nel proprio indebitamento le spese di co-finanziamento. È proprio così? Fabrizio Saccomanni è cauto. Valuta la decisione della Commissione Ue come «un primo segnale». E rinvia un'interpretazione più o meno estensiva del principio al Consiglio europeo di ottobre, che si svolgerà dopo le elezioni politiche tedesche. Anche Renato Brunetta invita alla cautela. E Nomisma calcola che l'eventuale sconto italiano ammonterà allo 0,4% di Pil: guarda caso proprio lo stesso numero che esce dalla divisione tra l'ammontare complessivo dei co-finanziamenti per il numero degli esercizi finanziari interessati.
Il diavolo nei dettagli
In realtà, la Commissione europea - insieme al via libera allo sconto - ha anche imposto una serie di condizioni per poter accedere allo scorporo delle spese dal deficit. La prima è che questa flessibilità di bilancio faccia restare l'indebitamento sotto il tetto del 3%. E non poteva essere altrimenti. La Commissione, in una comunicazione ufficiale, non può dire: sfondate il deficit. I mercati reagirebbero negativamente e a farne le spese sarebbero proprio i Paesi con gli spread in bilico. Che, guarda caso, sono proprio quelli che puntano a sfruttare al massimo la flessibilità di bilancio.
Equilibrismi lessicali
Ne consegue che la Commissione ha prodotto l'ennesimo compromesso europeo. Ha concesso maggiore flessibilità, ma l'ha subordinata a determinate regole. In tal modo, i Paesi virtuosi (nord europei) possono essere soddisfatti e quelli meridionali possono invocare il principio di non conteggiare nel deficit le spese per il co-finanziamento. Per fare un esempio. L'Italia può accedere allo sconto in quanto rispetta la condizione di registrare una crescita effettiva dell'economia inferiore a quella potenziale. Al tempo stesso, avrebbe limitazioni in quanto la flessibilità di bilancio è subordinata al livello del debito; ed il nostro è pari al 130% del Pil.
Il beneficio italiano
Secondo l'ultimo documento valido di finanza pubblica, l'Italia avrà nel 2014 un deficit tendenziale dell'1,8%. Ed un indebitamento strutturale allo 0,4% del Pil. I due dati sono stati elaborati con la previsione di una crescita dell'1,3%. È probabile che questa rallenti sensibilmente, con conseguente peggioramento del deficit, che potrebbe salire al 2,1-2,4%. Ne consegue che il margine d'azione concesso sarebbe tra i 6 ed i 13 miliardi. Sempreché, non sia necessaria una manovra di correzione dell'andamento tendenziale dei conti pubblici, così da farli restare sotto il 3%. Da notare, comunque, che nel linguaggio europeo è scomparso il principio del «pareggio di bilancio». Ormai si parla esclusivamente di regola del «3 per cento».
Prova di realismo
A differenza della Spagna, l'Italia ha sempre dato scarsa prova di saper sfruttare fino in fondo i finanziamenti europei.
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