Squinzi diventa catastrofico: "Siamo terrorizzati dalla crisi"

Nuova bordata del leader di Confindustria sul governo Letta: faccia presto non si costruiscono politiche sulle macerie. E Visco: "Crescita ancora debole"

Squinzi diventa catastrofico: "Siamo terrorizzati dalla crisi"

Roma - «Siamo preoccupati, terrorizzati dall'andamento dell'economia reale nel Paese e in particolare nel Nord». Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ieri a Milano ha lanciato un'altra bordata contro il governo Letta. Ancora una volta il tema dell'attacco è stata l'inazione dell'esecutivo nei confronti di uno scenario macroeconomico avviluppato in una spirale recessiva dalla quale è difficile tirarsi fuori.
Squinzi ha rinnovato l'appello, già rivolto personalmente al premier, affinché si proceda «in fretta perché non ho mai visto politiche e strategie costruite su macerie cercate con cura, quasi con ostinazione». Ormai l'insoddisfazione del leader degli industriali si è palesata in tutte le forme possibili: dalla legge di Stabilità piena di «porcherie» fino all'invito al presidente del Consiglio a non presentarsi «con la bisaccia vuota» nell'incontro con il direttivo di viale dell'Astronomia del 19 febbraio prossimo. «Delineate le strategie per riprendere la crescita, poi potremo discutere di tutto il resto», ha aggiunto Squinzi.

L'ennesimo segnale di allarme è stato rafforzato dalle analisi del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che sempre ieri - nel corso del suo intervento all'Assiom Forex a Roma - ha sottolineato come la crescita appaia «ancora debole e incerta» nonostante la ripresa economica in corso dovrebbe portare il Pil italiano a crescere dello 0,75% quest'anno. Ogni sforzo, ha evidenziato il numero uno di via Nazionale, «va indirizzato a sollevare la domanda, favorendo la creazione di nuove opportunità di lavoro». Tutto questo perché, con una disoccupazione vicina al 13% e a livelli record dagli anni '50, non c'è altra possibilità per favorire la ripresa che incentivare l'offerta di nuovi posti.
Il governatore della Banca d'Italia, ovviamente, non è un soggetto politico. Tuttavia non si può non osservare come la sua ricetta per uscire dalla spirale recessiva abbia molti punti in comune con quella di Confindustria. «La riduzione del carico fiscale sui fattori della produzione», secondo Visco, dovrebbe essere «accompagnata da tagli selettivi di spesa che riducano gli sprechi e da interventi per rendere più efficiente l'amministrazione pubblica». Senza trascurare la necessità di «meccanismi di sostegno al reddito» per tutelare i lavoratori espulsi dai processi produttivi. Un percorso di riforme che si configura come assolutamente «europeista» perché le oscillazioni del mercato dei cambi (cioè le eventuali svalutazioni dell'euro con benefici per l'export italiano) avrebbero comunque natura «transitoria» e non risolverebbero il deficit di competitività dell'Italia.

Non è un caso, quindi, che Squinzi abbia riproposto ieri il tema della politica industriale «se non vi si pone subito mano - ha detto - presto alla questione settentrionale dovremo aggiungere una questione internazionale» in quanto nessun investitore si espone «in un Paese dove per una licenza edilizia occorrono tre anni». È la «sopravvivenza» stessa del tessuto produttivo italiano quella Confindustria e Bankitalia disegnano come «a rischio».
E, soprattutto, non è casuale il riferimento di Visco alla circostanza che il vincolo esterno del rapporto debito/Pil non è una scusante sufficiente per l'immobilismo.

I parametri di bilancio si mettono a posto anche facendo crescere il denominatore visto che il numeratore (cioè il debito) tende sempre ad aumentare. Un esecutivo debole come quello attuale è in grado di rispondere a queste obiezioni? La risposta più scontata è purtroppo negativa.

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