Israele pronto a uno scambio di prigionieri

Kofi Annan: il blocco al Paese dei cedri dovrebbe essere tolto in una decina di giorni

Marcello Foa

E dietro le quinte Israele tratta: per ottenere la liberazione dei due soldati rapiti in luglio, innanzitutto; ma anche per completare il ritiro del Sud del Libano, che è già in fase avanzata. Ufficialmente il governo Olmert continua far la voce grossa e, come avvenuto l’altro ieri al termine del colloquio con il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, proclama che nessun soldato partirà fino a quando i 15 mila soldati libanesi e tutti i 5 mila militari dell’Unifil non saranno schierati sul terreno. In realtà in due terzi dei territori occupati le truppe israeliane hanno già passato le consegne all’esercito di Beirut e ai caschi blu; l’attuale occupazione riguarderebbe solo le zone più a rischio, quelle da cui, nei 34 giorni di guerra, gli hezbollah hanno lanciato le centinaia di razzi Katyuscia che hanno colpito le città israeliane. Ieri il vice premier di Gerusalemme, Shimon Peres, in visita a Roma, ha dichiarato che il richiamo definitivo di Tsahal inzierà con l’arrivo delle forze Onu, ma è rimasto vago sui termini: non ha precisato se si accontenterà dello spiegamento parziale del contingente e ha messo in sordina la richiesta di un pattugliamento dell’Onu anche al confine con la Siria. Un’ambiguità che, secondo alcuni osservatori, segnalerebbe la volontà dello Stato ebraico di non ostacolare gli sforzi dell’Onu.
Peres nell’incontro con il presidente del Consiglio Prodi, ha elogiato il ruolo della comunità internazionale e ha ringraziato «calorosamente» il governo italiano per aver deciso l’invio dei soldati, senza il quale «la risoluzione 1701 dell’Onu sarebbe rimasta sulla carta». Il vice di Olmert ha dichiarato di nutrire «grande rispetto per le capacità della diplomazia italiana».
Rinfrancato da questi apprezzamenti, Palazzo Chigi ha ribadito la sua disponibilità a trattare per il rilascio dei due soldati sequestrati; tuttavia questa crisi sembra percorrere altre strade. Una mediazione sarebbe già stata avviata, forse ad opera dello stesso Annan. Olmert continua a chiudere la porta agli hezbollah, ma non al Libano con il quale auspica l’avvio di colloqui diretti. Ieri si è detto pronto ad accettare che i due militari vengano consegnati alle autorità di Beirut e non ha ripetuto la richiesta di una liberazione incondizionata; anzi, fonti del governo hanno lasciato intendere di essere pronti a uno scambio con alcuni prigionieri arabi e libanesi detenuti nelle prigioni israeliane.
E che qualcosa stia accadendo lo ha confermato il premier libanese Fuad Siniora che, da Stoccolma, dove si è svolta ieri la Conferenza dei Paesi donatori per la ricostruzione del suo Paese, ha lasciato intendere di essere pronto a dialogare con lo Stato ebraico, salvo ritrattare poche ore dopo, non appena preso atto dell’evidenza data alla notizia dai media internazionali. Evidentemente preferisce mantenere il riserbo, perlomeno in queste fasi preliminari.
Gli occhi sono puntati, ancora una volta, su Annan, che è ottimista anche sulla revoca del blocco aeronavale «entro una settimana, al massimo dieci giorni» e che non dispera di convincere Israele ad accelerare i tempi affinchè le misure decise sette settimane fa «non possano essere considerate alla stregua di una punizione collettiva del popolo libanese». Ma Olmert non vuole correre il rischio che la riapertura dei collegamenti per cielo e per mare venga sfruttata da Iran e Siria per riprendere la fornitura di armi agli hezbollah. Dunque fino a quando la missione dell’Onu non sarà pienamente operativa nulla cambierà.
Eppure proprio la questione del blocco rischia, più di ogni altra, di riaccendere le tensioni. Il presidente del Parlamento libanese, lo sciita Nabih Berri, noto per la sua vicinanza a Hezbollah, ha sollecitato Siniora a «sfidare Israele e a riaprire l’aeroporto internazionale di Beirut ai voli commerciali». È improbabile che il governo accolga il suo appello, ma lo stesso Berri ha invitato «i deputati di tutte le tendenze a un sit-in permanente fino alla revoca del blocco», interpretando la crescente esasperazione del Libano.
Sarà questo uno dei temi che Annan affronterà a Damasco, dove è arrivato ieri sera dopo aver fatto tappa ad Amman. L’incontro con il presidente Assad, previsto per stamane, è il più delicato tra quelli avuti finora dal segretario dell’Onu.

La Siria è uno dei due Paesi che sostiene Hezbollah e non vuole sentir parlare di truppe Onu lungo il suo confine con il Libano. Senza il suo consenso il Paese dei Cedri non sarà mai davvero in pace. Annan lo sa: quella di oggi è una missione quasi impossibile.

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