da Berlino
Jennifer Lopez, statunitense di origine portoricana, arriva alla Berlinale con un film dove recita da giornalista investigativa di un quotidiano di Chicago. Forse ancora nella parte, con solidarietà fra colleghi - soprattutto se non di testate concorrenti - mi dice trepida: «Ho saputo nel 2006 - quando Gregory Nava mi ha proposto di lavorare nel film da lui scritto, prodotto e diretto, Bordertown («Città di frontiera») - che dal 1993 circa quattrocento donne sono state assassinate a Ciudad Juàrez, nel Messico. Ho accettato».
Assassini sessuali seriali? Fredda repressione antisindacale? Pura malvagità misogina? Dal film non si capisce quale sia il movente della strage, realmente avvenuta e tuttora in corso ma poco nota in Italia. Forse i tre moventi si sommano all'endemica criminalità locale, che facilmente si abbatte sugli indios, con la connivenza della polizia. Fin qui la realtà. Quanto alla finzione, Bordertown è un film americano non hollywoodiano, in gergo un film «indipendente», perché non distribuito da una delle majors (in Italia uscirà entro marzo per la Medusa). Però è un film indipendente con buoni nomi (oltre alla Lopez, Martin Sheen e Antonio Banderas), che può sperare di riportare a casa i soldi, se punta più sul giallo che sul sociale. Che peraltro non manca: l'inizio e la fine evocano certi film di Francesco Rosi, dove i giornalisti dell'Unità o dell'Ora di Palermo scoprivano le magagne dell'Italia dc. Anzi, Banderas, direttore del quotidiano d'opposizione di Ciudad Juàrez, finisce ammazzato da uno squadrone della morte.
Ma la Lopez è fatta più per correre, inseguita, o difendersi da uno stupro, che per recitare dialoghi importanti. In effetti ieri la proiezione per la stampa è stata punteggiata di risate per l'umorismo involontario del suo arringare da suffragetta. Ma Berlino - si sa - crede alle lacrime, più di Cannes e di Venezia. Alla Mostra Oliver Stone ha portato due vere vittime dell'11 settembre 2001? E allora Bordertown porta alla Berlinale Norma de Andrade, madre di una ragazza uccisa a Ciudàd Juarez. Il suo dolore pare sincero quanto il contesto pare sfruttarlo. Ma il contrasto fra il dolore delle vittime e quello degli interpreti delle vittime non andrebbe esibito.
Ma Jennifer Lopez è infervorata. Neofita, recupera il tempo perduto nello slancio verso i deboli, anche perché si è accorta che cosa significa aver a che fare coi forti. «Arrivati a Ciudàd Juarez con solo cinque componenti della troupe, abbiamo cominciato le riprese, dicendo che si trattava di un documentario. Ma presto sono arrivate le minacce, il furto delle macchine da presa e altre varie angherie, anche della polizia. Il film mostra che ci sono coincidenze di interessi fra i politici messicani e quelli statunitensi, perché la città ospita molte aziende che sfruttano il lavoro femminile ai limiti della schivitù. Chi ci guadagna non vuole pubblicità sull'accaduto, che continua ad accadere: questa settimana ci sono stati altri tre delitti».
Il bel viso della Lopez si corruccia.
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