L’aspirante politico che lascia tutto a metà

In tema di salari e di cuneo fiscale, il dialogo con i sindacati è stato un balletto diplomatico anziché un concreto impegno a risolvere i problemi. I difficili rapporti con artigiani, agricoltori e commercianti spesso emarginati dalle trattative e massacrati dal Fisco

L’aspirante politico  che lascia tutto a metà

Tanto tuonò che non piovve. L’impeto di Luca Cordero di Montezemolo pareva voler travolgere la politica italiana. Si sviluppavano trame tra i salotti pariolini, da sempre legati al presidente di Confindustria, e i salotti giustizialisti di un Paolo Flores d’Arcais che indicava sull’Unità in Montezemolo «l’unico che poteva ancora fermare Berlusconi». Con il Corriere della Sera che maliziosamente, senza impegnarsi troppo, (ma vedessi mai... ), raccoglieva di straforo le sparate del Saint Just de' Trastevere.
A un certo punto sembrava fosse in azione anche un fronte unico di operai, imprenditori, artigiani e commercianti per imporre la riforma elettorale. Poi, ieri, il presidente di Confindustria è stato ricevuto da Franco Marini, e se ne è uscito con parole moderate e un ragionevole suggerimento finale: se non ci sono le condizioni per fare la riforma elettorale «non bisogna perdere tempo si facciano le elezioni nell’interesse del Paese». Parole che ricordano quelle assennate di Emma Marcegaglia, colei che presto lo sostituirà e che per prima, a Bari, aveva spiegato come il Paese abbia bisogno di riformare la politica «ma le riforme si possono fare prima o dopo il voto», perché c’è bisogno di non perdere tempo.
E il «fronte unico»? Una sorta di bluff. Le varie associazioni di imprese erano state in realtà mobilitate da Maurizio Beretta, direttore di Confindustria e figlio di un grande amico di Marini, un ex leader dei chimici della Cisl. Le vecchie nomenklature dc che reggono ancora molte organizzazioni di artigiani, commercianti, agricoltori, avevano, dunque, di fatto risposto all’appello del presidente del Senato, ancora prima che a quello di una Confindustria (negli ultimi anni sgarbata nei confronti dei vari sindacati di impresa - dalla Confartigianato alla Confcommercio - emarginati dai tavoli di trattativa e massacrati dal Fisco).
Carlo Sangalli, grande capo del commercio, sul quotidiano Europa, nei giorni scorsi aveva spiegato che l’enfatico «appello del mondo delle imprese», non era se non un pacato invito, senza interferenze, alla politica a riformarsi. Da questo contesto non potevano saltare fuori, dunque, che i generici inviti montezemoliani, a «una fase costituente» dopo il voto.
Che Montezemolo sia persona di pronta intelligenza e dalle superbe dote comunicative, è incontestabile. Ma anche da un esame rapido della sua biografia si nota come queste doti riesca a esprimerle soprattutto quando si impegna nel campo delle auto da corsa, nella Ferrari. Già negli anni Settanta, scoperto dal vecchio Ferrari, Montezemolo diede prova eccezionale di sé portando i bolidi rossi a successi indimenticabili. E il miracolo si è ripetuto in questi anni, quando la Ferrari sotto la sua guida è rinata.
Però, tra i due periodi ferraristi, sono tanti gli incarichi mal riusciti di Montezemolo: noti i pasticci alle relazioni esterne della Fiat, non brillanti i risultati alla guida della Cinzano, poi le disavventure da vicepresidente della Juventus, il disastro dei mondiali Italia '90. La sensazione che dà è che quando non si appassiona, non riesce a essere quel magnifico trascinatore che si è dimostrato alla Ferrari.
E la sua esperienza in Confindustria pare rappresentare un’altra fase opaca della sua vita. Quattro anni fa quando prese la guida di viale dell’Astronomia, la grande parte della società italiana considerava le imprese la principale speranza di rinnovamento del Paese. E, a mio avviso, era una considerazione fondata: se le imprese italiane non avessero fatto un miracolo rilanciandosi nel mondo, la nostra situazione sarebbe ora catastrofica.
Però, oggi, anche solo sfogliando distrattamente un quotidiano, si nota come l’atmosfera intorno alle imprese si sia modificata. «Prendono tutti i vantaggi per sé, affamano gli operai»: questo leggiamo ogni giorno. E non si può dire che l’attività confindustriale sia stata estranea alla formazione di questo clima. Lo scambio sul taglio del cuneo fiscale (io ti appoggio il governo, tu tagli le tasse solo alle industrie), non ha avuto il fascino riformatore di battaglie precedenti. La dialettica con il sindacato è stata spesso un balletto diplomatico più che un impegno a risolvere i problemi. Lasciando così irrisolto il nodo dei bassi salari, non affrontabile se non con la crescita della produttività.
Montezemolo mi pare consapevole di un lavoro lasciato a metà. Nei giorni scorsi ha spiegato come si è battuto per modificare la contrattazione aziendale e nazionale, così da affrontare la questione produttività.
Nel luglio 2004 ho avanzato proposte su questi temi - dice - la Cgil si è alzata dal tavolo e il confronto si è interrotto. Sono tornato a fare proposte nel 2006 ma la Fiom-Cgil ha risposto picche. Ora si è siglato il contratto dei metalmeccanici (con il quale Sergio Marchionne ha detto che difficilmente - in queste condizioni di rigidità - la Fiat potrà creare nuova occupazione ndr) e io mi sono lamentato per il carattere arcaico del rito.
Insomma di fronte alla questione centrale che qualifica la funzione del sindacalista di imprese, Montezemolo ha solo avanzato «esigenze di riflessione», accettando i veti della controparte. Una linea assai timida per chi invece interviene con abbondanza di proposte su qualsiasi tema generale: dall’abolizione delle province al sistema elettorale.
Sull’ultima vicenda della crisi di governo, Montezemolo ha detto: «La classe politica italiana ha dato in questi ultimi mesi un pessimo esempio». Può darsi.

Anche se è qualunquista mischiare responsabilità di chi governa e di chi si oppone. Comunque chiunque eserciti ruoli pubblici, prima di alzare il ditino, dovrebbe fare un sereno esame di coscienza sulle proprie responsabilità.

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