Politica

L’Italia ha detto no alla marijuana-terapia

L’esperto: «Crea effetti allucinogeni, cambiamenti dell’umore e depressione»

Enza Cusmai

da Milano

Gerolamo Bianchi, primario dell’unità di reumatologia all’ospedale La Colletta di Arenzano, non ce l’ha fatta. Quattro anni fa aveva annunciato con grande enfasi, l’inizio della sperimentazione della marijuana nel suo ospedale. Il professore sosteneva che la cannabis fosse una panacea soprattutto per i malati di sclerosi multipla e si era dedicato anima e corpo a questa iniziativa. Bloccata prima ancora che dal ministero della Sanità (c’era Sirchia) dalla stessa azienda produttrice del prodotto. «La casa farmaceutica aveva chiesto un finanziamento europeo per iniziare la sperimentazione - spiega Bianchi - ma non l’ha ottenuta così non se n’è fatto più nulla. So soltanto che in Inghilterra non si sono fermati ed è stato prodotto un spray. Purtroppo in Italia siamo molto indietro in questo settore, ma il limite è soprattutto politico».
E in effetti all’estero le cose non stanno così. In Gran Bretagna, proprio la camera dei Lord aveva autorizzato una sperimentazione su 600 malati di sclerosi multipla per verificare gli effetti lenitivi della cannabis sulla spasticità muscolare. E un sondaggio tra i medici aveva rivelato che il 74% avrebbe voluto la cannabis a uso terapeutico.
In Canada, invece, la legalizzazione del suo uso per i malati terminali e per un impiego curativo è stato ammesso anche in nove Stati americani. In Europa è invece la Danimarca ad essere all’avanguardia sulla sperimentazione. Dopo aver somministrato dronabinolo (cannabis sintetica) a un gruppo di pazienti affetto da sclerosi multipla, è emerso che l’intensità media del dolore è diminuita. In sostanza quel farmaco sembra abbia un effetto analgesico modesto ma clinicamente rilevante sul dolore centrale nei pazienti con sclerosi multipla.
In Italia la situazione è ben diversa. La chiusura del settore non proviene solo dal mondo politico. Anche i medici sono sostanzialmente scettici. Non a caso avevano sollevato molto scalpore due decisioni giudiziarie. In una sentenza il tribunale civile di Venezia aveva accolto la richiesta di una malata di tumore che pretendeva un rifornimento autorizzato di cannabis; a Roma, invece, il tribunale penale aveva assolto un paziente che utilizzava l’hashish per lenire una grave forma di epilessia.
Ma sono stati casi sporadici. Senza seguito. In realtà, lo scetticismo dei derivati sintetici della cannabis lascia perplesso il mondo degli esperti. «Anche gli americani hanno fatto retromarcia sull’uso della cannabis sintetica - spiega Alberto Sbanotto dell’istituto europeo di oncologia dove si occupa della terapia del dolore -. È stato utilizzato negli anni ’80 quando non erano disponibili antidolorifici e antivomito di nuova generazione. Comunque io, in vent’anni di professione, non l’ho mai prescritta». Attualmente, dice l’esperto, esistono farmaci molto efficaci che non interferiscono sullo stato generale del paziente. La cannabis sintetica provoca effetti collaterali non indifferenti. «Interferiscono sul tono dell’umore, del carattere - spiega Sbanotto -. Non davano euforia ma disfonia, provocavano visioni di tipo allucinogeno, disturbi poco piacevoli, poco controllabili».

Meglio proporre prodotti più puliti, da assumersi per bocca o attraverso un cerotto che rilasci l’antidolorifico in modo lento ed efficace.

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