Politica

L a rabbia delle famiglie: dateci notizie

Luciano Gulli

nostro inviato a Londra

Il peggio, quando la vita di uno a cui vuoi bene finisce uncinata dai grandissimi mascalzoni che camminano in mezzo a noi, è non sapere. Quando senti la notizia alla radio, o alla tele, o per strada, la prima cosa che fai è agguantare il cellulare. Telefoni, telefoni, telefoni, ti consumi le dita sul maledetto affare, ma dall'altra parte senti solo silenzio. È allora che comincia l'agonia. Vai per ospedali, telefoni alla hotline della polizia, ma di Philip, di Michelle, di Monika nessuno sa nulla. Missing è la parola. Spariti, dispersi. In 30, ma il numero crescerà. Allora prendi la foto di tuo figlio, di tua moglie, della tua fidanzata, e con la morte nel cuore vai anche tu a King's Cross, e attacchi anche tu la tua foto accanto a quelle degli altri. Facce allegre, sorridenti, di gente che in media ha trent'anni, e fai fatica a pensare che non ci sono più, che se ne sono andati tutti insieme un giovedì mattina.
«Avete visto quest'uomo o la sua automobile, una Mitsubishi Colt?». «Sapete niente di Karolina, capelli corti, biondi, un piercing all'ombelico, polacca con le mani piene di anelli d'argento e un portachiavi col logo delle Olimpiadi che verranno?», «Qualcuno ha notizia di Christian Small, 28 anni, che ha lasciato casa alle 7.55 di giovedì ed è di colore, palestrato, i capelli corti e gli occhi marrone?».
Chiamate Charles, Dexter, Simone, casa, ecco qui i numeri, please, dicono i volantini che sbattono nel vento al di là delle transenne che recintano questo altare del dolore, sommerso di mazzi di fiori addossato all'esterno di King's Cross station.
L'unico che dispensa certezze, all'interno della stazione, è mister Adrian Stratton, chiuso nel suo gabbiotto sormontato dalla scritta «informations». I treni per Leeds, Edimburgo, Inverness sono tutti «on time», dice Adrian. Per il resto, gli han detto di tenere la bocca chiusa con la stampa. Poliziotti con lo spolverino fosforescente, due turiste che aspettano di imbarcarsi con seguito di bici per la Scozia, aperto il chiosco del fiorista e quello degli Swatch. Una giornata di vita normale, in superficie. Il cimitero è qui, sotto i nostri piedi, dove si scava ancora alla ricerca di altre vittime, nella pancia slabbrata della metropoli.
Ci si attacca all'ultimo filo di speranza, in casi come questo. Un giorno, due giorni sono pochi per rassegnarsi. Non dite a Yvonne Nash che il suo fidanzato Jamie Gordon è stato cancellato dalla bomba esplosa sull'autobus a due piani in Tavistock square. Di Jamie, tra i rottami del bus, Yvonne ha trovato solo il telefonino. Lo stesso dal quale il suo boyfriend l'aveva chiamata per dirle che era in ritardo, che il metrò era bloccato e che perciò prendeva il «30». Yvonne però è ancora convinta che Jamie «sia da qualche parte».
Diana Gorodi è venuta a cercare la sorella Michelle all'University College hospital. Al contrario di Yvonne, Diana non si fa più illusioni. Sa che sua sorella era sulla Piccadilly Line a quell'ora. Chiede solo che le diano il cadavere della sorella, e ora piange, accusa, si sfoga con i medici e gli infermieri. «Perché non ci fanno vedere i corpi? Ci dicano semplicemente che sono morti, e facciamola finita con la storia dei missing».
Impiegati, lavoratori, studenti. Maschi e femmine, neri e bianchi, cristiani e musulmani. I terroristi hanno tirato nel mucchio, come sempre. E nel mucchio c'erano anche Laura Webb, 29 anni, bella, bionda, sorridente, una cascata di capelli biondi, che andava al lavoro col crocefisso al collo ed era in ritardo. E c'era Shahara Akther Islam, 20 anni, musulmana devota che ogni venerdì, con i suoi familiari, andava a dire le sue preghiere alla moschea di Plaistow, uno dei quartieri orientali di Londra. Shahara come simbolo dei tanti giovani musulmani britannici, scrive l'Independent, che abitano a Londra e condividono pienamente la cultura della moschea e quella del Paese in cui vivono. Nata a Whitechapel in una famiglia immigrata negli anni Sessanta dal Bangladesh, Shahara era una ventenne come tutte le altre. Le piacevano le borse di Gucci, i soprabiti di Burberry, uscire con gli amici, una serata in discoteca ogni tanto. «Una di quelle ragazze - racconta lo zio Nazmul Hasan - piene di allegria, capaci di farsi amici ovunque andasse. Dopo le superiori aveva scelto di lavorare, voleva avere qualche soldo in tasca da spendere. Mai visto Shahara indossare vesti islamiche, andava in giro come tutte le ragazze di oggi».
Una vita normale. Il padre, Shamsul, 44 anni, impiegato alla London Transport; la madre, Rumena, casalinga, e due fratelli più giovani, di 17 e 13 anni. Non chiede molto, lo zio di Shahara. Vorrebbe solo sapere. «Se avessimo un corpo da piangere, o da curare... Ma così... E se fosse ancora viva, intrappolata laggiù? È questo pensiero, che ci sta consumando».
Una preghiera anche per Philip Russell, 28 anni, impiegato della City Merchant Bank, che aveva telefonato in ufficio per dire che il metrò era bloccato e andava a prendere il bus che passa per Tavistock. Dicono che Philip avesse una passione per la poesia moderna. Gli piacevano anche gli italiani. Montale, Saba.

E quel verso fulmineo di Ungaretti, che dice: «Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie».
Luciano Gulli

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