«Cogliamo l'occasione per rivolgere al Popolo Italiano, al personale delle Forze Armate, a tutti i nostri colleghi della grande famiglia marinara, un sincero ringraziamento per il forte e costante solidale sostegno». Parola di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che in occasione del 151° anniversario della Marina militare hanno inviato una lettera da Kochi, la città portuale dello Stato indiano del Kerala. I nostri marò sono liberi su cauzione, ma accusati della morte di due pescatori locali. I fucilieri di marina, in missione anti pirateria a bordo della petroliera «Enrica Lexie», hanno sempre sostenuto di aver sparato in acqua per fare cambiare rotta ad un'imbarcazione che sembrava una minaccia.
«In qualità di Marinai, forgiati nei ranghi del Reggimento San Marco (....) affrontiamo questa difficile situazione che non coinvolge solo noi come individui e militari, bensì anche la stessa dignità della nostra Repubblica democratica e sovrana» scrivono i fucilieri di marina. Non a caso oggi, a Venezia, in piazza San Marco, si terranno le celebrazioni per la festa della loro forza armata alla presenza del presidente Giorgio Napolitano. A Venezia ci sarà anche la nave anfibia «San Marco». Il capo di stato maggiore della Difesa, Giampaolo di Paola, che è stato ammiraglio, e il comandante della Marina, Luigi Binelli Mantelli, dovrebbero cogliere l'occasione per parlare del caso Latorre e Girone. Dal 18 giugno i due fucilieri di marina dovranno affrontare un difficile processo in India. Però non hanno dimenticato l'anniversario dell'eroica missione di due Mas che nella prima guerra mondiale affondarono la corazzata austriaca Santo Stefano nei pressi dell'isola dalmata di Premuda. «Noi, Massimiliano e Salvatore, con un semplice messaggio partecipiamo all'importante e sentita ricorrenza dell'impresa di Premuda». Nella lettera ringraziano le Associazioni d'arma che si sono mobilitate per loro e le famiglie. I due marò auspicano «una rapida risoluzione di questa incresciosa vicenda, affinché, in un tempo non troppo lontano, potremo ritornare nella nostra amata Patria».
La libertà su cauzione ottenuta ai marò dopo cento giorni di galera ha di nuovo ammorbidito la linea della Farnesina. Il nostro ambasciatore, Giacomo Sanfelice, richiamato in patria il 18 maggio, è rientrato a New Delhi senza troppo clamore. Secondo il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura «con una lettera per il ministro degli Esteri indiano S.M. Krishna, in cui si reitera l'importanza che l'Italia dà alla questione della giurisdizione e all'auspicio di poter risolvere la questione in maniera condivisa».
Le tanto auspicate pressioni internazionali sull'India per far giudicare i marò in Italia non si vedono, almeno pubblicamente. Negli ultimi due giorni il segretario alla Difesa Usa Leon Panetta era in visita a Delhi per chiedere una maggiore presenza indiana in Afghanistan, ma non militare.
Invece noi schieriamo quattromila soldati italiani a Herat. Chissà se il nostro potente alleato, che non ha mai abbandonato un suo militare in terra straniera, anche se reo confesso di stragi, si è ricordato di sollevare il caso dei marò.