L'Europa dell'euro si è mossa massicciamente a una velocità insolita per contrastare gli attacchi ai titoli pubblici di singoli Stati dell'euro, che, come aveva spiegato il presidente della Bce, sono in realtà un attacco all'euro-sistema, volto a scardinarlo nel suo complesso. Si può discutere se convenisse o meno lasciare la Grecia al suo destino, risparmiando i 110 miliardi del suo piano di salvataggio, per riservare tutte le armi e le munizioni al sistema-euro nelle sue strutture di base, ma ora siamo arrivati precisamente a questo stadio.
Il comunicato di Moody's che chiamava in causa in modo immotivato l'Italia, assieme a Spagna e Portogallo, era un chiaro sintomo di un grande assalto. E il fatto che Moody's (che non è così indipendente come si dice perché è posseduto da grandi «hedge fund», ossia «fondi di investimento speculativi») abbia poi emanato un comunicato rassicurante sull’Italia non deve trarre in inganno. Nel frattempo la Borsa era caduta e chi voleva guadagnarci ci ha guadagnato. E, soprattutto, in questo modo i ribassisti hanno saggiato la vulnerabilità dell'euro-fortezza.
Per fortuna si è capito, da parte nostra, di che si tratta e si sono adottate contromisure che nell'insieme costituiscono uno sbarramento massiccio. Per bruciare le tappe con riguardo al Fondo Monetario Europeo, si estende agli Stati dell'euro il «fondo anticrisi» finanziato dalla Commissione europea, che essa ha adottato per gli Stati dell'Est europeo ed è già utilizzato da Romania, Ungheria e Lettonia. È previsto uno stanziamento che potrebbe arrivare anche a 60 miliardi, che permette di mobilitarne dieci volte tanto (600 miliardi), mediante garanzie degli Stati e, a quanto pare, l'intervento del Fondo mometario internazionale. Una cifra elevata e dilatabile a cui si aggiunge la misura più importante anche quantitativamente che consiste nella decisione annunciata dalla Bce, di acquistare titoli pubblici dei Paesi in difficoltà mediante le banche centrali degli Stati membri, come la Banca di Italia o di Francia, facendo uso delle proprie riserve. Si tratta della soluzione che ho spiegato ieri e che è resa possibile dal fatto che queste operazioni vengono configurate come investimenti basati su considerazioni economiche, cioè come impieghi delle riserve dotati di validità economica.
A supporto di questa decisione i Paesi membri dell'euro che possono avere bisogno di questi interventi e che hanno deficit superiori al 3% del Pil, quindi sopra i parametri normali di Maastricht, cioè tutti tranne la Germania, dovranno anticipare le correzioni, che la Commissione europea aveva graduato nel tempo sino al 2012. Non si tratta di fare subito il rientro sotto il tetto del 3%, ma di accelerare il percorso. Inoltre, anche se ciò non è esplicito, bisognerà mettere in cantiere misure strutturali di taglio di spese, che anche se hanno piccoli effetti immediati hanno rilevanti effetti nel futuro e quindi assicurano la solvibilità soprattutto dei Paesi molto indebitati, come l'Italia. Vittorio Feltri lo aveva anticipato ieri, facendo riferimento alla necessità del taglio delle spese. Per noi è chiaro che dobbiamo mettere mano alla riforma delle pensioni accelerando quella prevista per gli uomini e varando quella dell'età di 65 anni per l'andata in pensione delle donne. Questa con un percorso a tappe e incentivi. Se non lo si fa ora si sarà costretti a farlo, senza incentivi e in una sola tappa, quando il nostro debito pubblico incontrerà difficoltà. Per i deficit della Sanità vale un discorso analogo.
La Bce nella sua delibera è stata astuta. Ha deciso che l'acquisto di titoli pubblici degli Stati che possono incontrare difficoltà siano fatti tramite le banche centrali di tali Stati. Se in un'asta di titoli pubblici di uno Stato membro si presentano difficoltà di collocamento, la rispettiva banca centrale si può metter immediatamente a comprare.
C'è poi una misura minore quantitativamente che ha grande importanza politica, cioè l'aiuto intergovernativo che potrebbe arrivare anche a 150 miliardi di euro in tre anni. Quello alla Grecia è di 110. Duole dirlo: gli inglesi non hanno voluto associarsi agli Stati dell’euro in questo legame reciproco. Nella guerra fra le monete - perché di questo si tratta - preferiscono stare da soli o con il dollaro. Lo si potrebbe definire un tradimento, ma è anche un atto di autolesionismo. L'euro che scende verso quota 1,20 col dollaro e magari più sotto genera una potenza competitiva nella concorrenza internazionale che rende più difficile il mercato agli Stati europei non euro. D'altra parte il discorso è anche politico e qui si allarga agli Usa. Non conviene proprio agli inglesi e agli americani scardinare questa unione monetaria perché ciò avrebbe ripercussioni sulla presenza dei contingenti militari europei nelle aree calde di tutela dell’ordine e della sicurezza.
Alla questione se possa reggere l'euro, va poi risposto che dopo che la Germania ha accettato gli schemi di intervento qui descritti, essa è direttamente coinvolta e non potrà sganciarsi se non con dolorose perdite dall'euro-sistema. In questa situazione è difficile fare previsioni. Ma credo che si possa affermare che né l’euro né il nostro debito corrono pericolo.
Ma il messaggio che a suo tempo diede Prodi per cui l’euro avrebbe agevolato il nostro stato del benessere con salari rigidi centralizzati si rivela sempre più errato. Esso rende necessaria una vera economia di mercato con flessibilità del mercato del lavoro, uno Stato sociale meno permissivo e la priorità alle infrastrutture.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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