La linea politica spetta agli editori (anche a quelli di sinistra)

Leggo sul Corriere della Sera un’intervista a Marco Travaglio che si chiude con la frase: «Io mi trovavo al Giornale con Montanelli quando l’editore decise cosa si dovesse scrivere o non scrivere. Montanelli se ne andò e lo seguimmo in cinquanta». Più volte vari personaggi hanno ricostruito a loro uso e consumo i momenti e le motivazioni che hanno portato Montanelli a lasciare la sua creatura: non sarebbe ora che chi ha vissuto quel momento scriva chiaro e tondo sul nostro Giornale le reali motivazioni o, quantomeno, come andarono le cose?


Quell’8 gennaio 1994 il Cavaliere non prescrisse cosa avremmo dovuto scrivere o non scrivere. Dalla trascrizione stenografica dell’assemblea di redazione, questo risulta. Domanda: «Come combatteremo noi contro queste grosse coalizioni, contro i tre o quattro maggiori quotidiani del Paese con un giornale in stato di crisi? Andremo alla guerra con un’arma spuntata?». Berlusconi: «Io credo che se il Giornale darà segni di voler combattere questa battaglia, di volerla combattere con una tattica e una strategia adeguate alle posizioni degli altri, non mancheranno assolutamente i mezzi per un rafforzamento della linea del Giornale». Combattere questa battaglia: da qui nacquero equivoci e mistificazioni. Se ci si attiene al verbale dell’assemblea appare evidente che la battaglia si riferisce a quella giornalistico-editoriale da condursi contro «i tre o quattro maggiori quotidiani del Paese». Battaglia che senza i dané del Cavaliere si sarebbe combattuta «con armi spuntate». Ma qualcuno pretese e tuttora pretende di leggere nelle parole di Berlusconi l’invito a partecipare alla battaglia - politica - relativa alla sua discesa in campo. Non andò così, ma anche se fosse andata così che c’è di strano? Di scandaloso?
Vede, caro Bolis, si può anche capire che dall’esterno si abbia dei quotidiani, delle loro strutture e dei loro rapporti interni una visione favolistica. Che poi un po’, molto un po’, è colpa nostra, del nostro desiderio di darci un tono. Ma l’amico Travaglio è un addetto ai lavori e pertanto sa bene, sa benissimo, che per dettare la linea politica del Giornale (per dirla con Travaglio, cosa avremmo dovuto scrivere e non scrivere), Berlusconi non stava a perder tempo con i redattori. Si rivolgeva a Montanelli. Perché nei giornali funziona così: è col direttore che viene stabilito il da farsi. E l’intendance suivra. Le dirò di più: non c’è nemmeno il bisogno di stabilire. Dal momento in cui De Benedetti (editore della Repubblica) dichiarò di volere la tessera numero uno del costituendo Partito democratico, crede lei che al direttore Ezio Mauro o a uno solo dei repubblicones sarebbe passato per la mente di scrivere alcunché di negativo nei confronti del Piddì? Detta in altri termini, crede lei che in nome del diritto (umano) alla libertà di espressione alla Stampa sia consentito scrivere, mettiamo, che Marchionne non la sta contando giusta? E che ci sia bisogno di specificare a chiare lettere, magari intervenendo in una assemblea di redazione, che quando Marchionne la conta, la conta giusta? Non è mica per un ghiribizzo che quella che per semplicità ho chiamato «linea politica» sia detta più propriamente «linea editoriale». Si chiama così perché la stabilisce l’editore. Naturalmente può capitare che non piaccia al direttore o a qualche redattore e allora i casi sono due: o abbozzano mugugnando o tolgono il disturbo migrando in un’altra testata per guadagnarsi la libertà di scrivere (a libro paga) ciò che compiace o conviene al nuovo editore (che paga).

Tertium non datur.

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