L'uomo che ha trasformato una terra deserta nell'eden

Lo chiamano «Forest man» e ha fatto crescere da solo un'enorme foresta. Ripopolandola di fauna

L'uomo che ha trasformato una terra deserta nell'eden

Ecco una bella storia, una storia che sarebbe piaciuta a Rudyard Kipling, l'autore del Libro della Giungla e premio Nobel nel 1907. Il maestro anglo-indiano di certo avrebbe apprezzato le gesta di un piccolo, grande uomo che (in perfetta solitudine) ha ricostruito nell'Assam un angolo remoto dell'India un'oasi naturale e difeso i suoi inquilini: formiche, uccelli, manguste, daini, cervi ma anche elefanti, rinoceronti, tigri del Bengala e chissà cos'altro ancora.

Il suo nome è Jadav Payeng ma per tutti è il «Forest man of India», l'uomo della foresta, titolo conferito nel 2012 dall'università Jawaharlal Nehru di Delhi. La sua straordinaria vicenda ha ispirato il regista canadese William Douglas McMaster, che ha realizzato un emozionante cortometraggio ovviamente intitolato Forest man , premiato nel 2014 a Cannes e a Los Angeles. L'anno successivo il governo ha insignito Jadav della «Padma Shri», una delle più alte onorificenze nazionali e dal 2017 la sua battaglia ecologica è narrata nei libri di scuola dei giovani indiani. Tanti onori e riconoscimenti che però non hanno mai distratto il nostro «Forest man» un contadino timido quanto cocciuto dalla sua pluridecennale missione: salvare Majuli, un'isola al centro del fiume Brahmapoutra e antica culla della sua tribù, i Mising.

Tutto iniziò nel 1979. Allora Payeng era solo uno studente sedicenne appassionato di agronomia, che passava le sue ore libere nelle serre della scuola. Poi, un giorno d'agosto il ragazzo si recò sulla terra degli avi e rimase sconvolto. Nel periodo monsonico le inondazioni avevano flagellato il luogo riducendolo a una landa desertica, senza alberi, senza fiori, senza vita. Una terra morta che il fiume stava lentamente erodendo. Su un banco di sabbia vide centinaia di serpenti morti: i rettili, tra gli animali più resistenti del creato, privi dell'ombra degli arbusti erano rimasti abbrustoliti dal sole. Un segnale inequivocabile: l'ecosistema stava collassando.

In quel momento Jadav decise. Lasciò la sua scuola di Jorhat per dedicarsi interamente a Majuli. Una scelta forse un po' folle, ma coraggiosa. Bella. Per fermare l'erosione e riportare la vita, il ragazzo iniziò a piantare bambù su una lingua di sabbia. «Cominciai con 450 semi che innaffiavo di continuo. Le piante iniziarono a crescere e perseverai. Avevo sempre le tasche piene di semi che lasciavo nello sterco delle vacche. I contadini mi guardavano e ridevano, convinti che fossi pazzo». Per migliorare il suolo Jadav reintrodusse le formiche rosse e fu la volta dei fiori e degli alberi e, poco a poco, una lussureggiante foresta di 550 ettari (l'equivalente di 500 campi di calcio, due volte il Central Park di New York) prese vita e forma. «Una volta avviato il processo, la natura si sviluppa e mi aiuta. È un circolo virtuoso: le piante fioriscono, il vento e gli uccelli ne disperdono i semi dando vita ad altre piante».

In quarant'anni di durissimo lavoro, il sogno di «Forest men» si è trasformato in un ecosistema con un suo equilibrio e una catena alimentare. Nel bosco sono tornati gli avvoltoi e gli uccelli migratori e, assieme a loro, tanti animali selvaggi d'ogni stazza e tipo. Un passaggio cruciale. L'apparire dei predatori e, soprattutto, degli elefanti inquietò non poco gli abitanti dei villaggi vicini. In Assam i pachidermi incalzati dall'urbanizzazione che restringe continuamente il loro habitat naturale si avventurano spesso nei villaggi causando danni e incidenti, a volte anche mortali. Dopo aver piantato centinaia di banani per placare la fame dei suoi invadenti «inquilini», Jadav è riuscito a convincere i suoi vicini che la convivenza è possibile. Con molta fatica e un provvidenziale aiuto dal destino.

Nel 2008 un branco di elefanti, dopo aver devastato un centro abitato della zona, si rifugiò nel santuario inseguito da centinaia di contadini furibondi, pronti a sterminare gli animali e abbattere il bosco. Per «Forest man» l'ora più buia. Ma, fortunata coincidenza, quel giorno sull'isola arrivarono anche le autorità e i media; gli uomini della città, increduli e stupefatti, scoprirono un paradiso nascosto e incontrarono il suo creatore. Gunin Saika, responsabile delle foreste dell'Assam, così ricorda quel momento: «Siamo rimasti stupiti di trovare una foresta così densa, così magnifica. La gente del posto, infuriata per il passaggio degli elefanti, voleva radere al suolo il bosco, ma Payeng era pronto a farsi uccidere pur di salvarlo: lui tratta alberi e animali come fossero i suoi bimbi. Una volta compreso il suo incredibile sforzo abbiamo deciso di aiutarlo e contribuire al suo progetto».

Da allora, grazie all'appoggio governativo, l'intera isola è diventata un modello di gestione naturalistica, un'eccellenza del programma ambientale indiano e ora l'Unesco prevede d'inserire Majuli tra i siti del «Word Heritage». Payeng è così diventato un personaggio pubblico e un esempio per il futuro. Per il dottor Arup Kumar Sarma, direttore dell'Indian Institute of Technology, il contadino visionario «ha dimostrato che basta una sola persona per realizzare un'opera importante. Se applichiamo progressivamente su tutto il bacino del Bramapoutra il suo piano di riforestazione potremo risolvere il problema delle inondazioni e dell'erosione su larga scala».

In questi anni «Forest men» ha girato il mondo, invitato dalle università e dalle associazioni ambientaliste, per raccontare la sua storia. Sempre con umiltà, saggezza e ironia, senza mai montarsi la testa. Il suo mondo è nella foresta; la sua creazione continua a crescere e lui continua a proteggerla.

Ogni mattina si alza alle 3, inforca la bicicletta e raggiunge la fattoria per poi inoltrarsi nel verde senza alcun timore d'incontrare una delle quattro tigri o dei cinque rinoceronti qui rifugiati e controllare ogni cosa. È il suo patto quotidiano con la natura. «La mia esistenza è consacrata a essa e lo sarà sino all'ultimo giorno».

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