Ricordate cosa succedeva poco più di un mese fa? A vedere le televisioni e a leggere i giornali (non questo Giornale, ma forse è quasi una precisazione superflua), sembrava quasi che al Gaslini si uccidessero i bambini. Prima il dramma del piccolissimo ecuadoriano, poi un giallo su una presunta diagnosi sbagliata a una ragazza quindicenne e sovrappeso.
Nel secondo caso, lautopsia ha negato ogni responsabilità dei medici. Nel primo, non cè ancora il responso decisivo, ma non sono stati riscontrati errori macroscopici. Ma non è qui il punto: anche se le autopsie avessero detto il contrario, è proprio la criminalizzazione del Gaslini ad essere assolutamente inaccettabile.
In un mondo dove solo la malasanità merita titoloni e locandine, raccontare di buonasanità è un dovere, prima che un diritto. Lo dobbiamo a migliaia e migliaia di medici, di famiglia e ospedalieri, che fanno il loro mestiere con passione, con amore, con umanità. Poi, certo, il medico incompetente o linfermiere maleducato possono capitare ovunque. Ma, credetemi, e parlo anche per esperienza personale, al Gaslini, spesso, più che di buonasanità occorre parlare di sanità buona. Ed è per questo che mi piace proporvi le lettere sul tema che ci hanno mandato due nostri cari lettori, di cui omettiamo il cognome solo per motivi di privacy.
«Caro Massimiliano - scrive il signor Bruno di Genova - sono felicissimo di trovarmi un volta di più all'unisono con lei.
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