Meglio il salotto del solito palazzo

Signori, armatevi di pugnale e di cuscino, siamo alla guerra del salotto. Ieri la stampa, i gossip e perfino il Transatlantico erano sommersi dalla guerra del salotto e dalle sue trame: i direttori dei più grossi giornali, il premier e i suoi ministri, compreso il povero Tremonti ridotto al panino dall'esclusione del salotto di Vespa; il sullodato Polpo Bruno che ordisce cene e salotti; e per contorno la censura degli esclusi, l'omertà degli inclusi, il vituperio degli assenti, il rutto padano di Bossi contro salottieri e salottifici. Il teatrino è al completo. Il salotto è visto come il luogo eletto dove i poteri forti si fanno gentili e dove si misura il grado di importanza dei potenti. Una specie di élitometro che svolge funzioni analoghe all'etilometro: misura il tasso di potere delle élite. La geografia dei salotti ormai è nota e ve la risparmio. Di qui i salotti del potere, di là i salotti radical chic; di qui i pranzi curiali da Santa Madre Vespa, di qua le terrazze rosse degli snob dove svolazzano le toghe nere.

Se vuoi far vergognare un potente o un pezzente, citagli il salotto: il primo si vergognerà di esserci stato, il secondo di non esserci andato. Entrambi tenteranno di negare la presenza o l'esclusione. Il salotto logora chi non ce l'ha. Sono curiose e becere le new entry: quando arrivarono i comunisti in salotto, la padrona temeva che sporcassero casa, o i fascisti, e la padrona temeva che pisciassero sul bordo del wc. Interi inserti dei quotidiani spiegavano ieri la storia e la fenomenologia dei salotti e dei salottieri. Scienziati del Divano, dietrologi della poltrona, discettavano con pignolo moralismo di questa perdizione oscena che sarebbero i salotti, dove il potere ordisce le sue trame tra un risotto e un dessert. Se posso dire la mia impressione, nutrita di qualche vaga e marginale esperienza diretta, direi l'opposto: il salotto è il luogo dell'inconcludenza. Nei salotti non nascono le trame ma abortiscono, i disegni politici finiscono nel punto giorno dei pizzi, si perdono nel ricamo del nulla o finiscono come la polvere e le briciole, sotto i tappeti.

Nel salotto si coalizzano le antipatie ma si stemperano gli odi, si tramutano le ostilità in pettegolezzi, si esprimono giudizi sommari a ragione mai veduta; si recensiscono opere e biografie senza conoscerle, basta un solo indizio, una battuta, un calzino, una cattiva compagnia. I giudizi ingrossano lungo la conversazione, uno dice mezza cosa, e tutti ci mettono il carico, fino a che diventa una sentenza scolpita in marmo. Alla fine, nei salotti, non trionfano i potenti ma le signore, a volte i camerieri. La guerra fredda e le alleanze riguardano piuttosto le consorti. I potenti, come bambinoni, palleggiano, ma raramente tirano. Gigioneggiano o si eclissano, perché se parli poco mostri di contare molto e di sapere tutto. Ma alla fine un piatto di tagliolini o un buco nello stomaco per penuria di portate, si ricordano più del complottone salottiero. Il rango di un salotto, e il suo passaggio alla storia, alla fine è deciso dal menu.
Non c'è nulla di male che i poteri forti a volte mangino insieme una sera a cena; non c'è nulla di male che si scambino una battuta sul fatto del giorno o dicano una galanteria alla moglie dell'anfitrione.

Non c'è nulla di scandaloso se a volte due potenti accennano in salotto a un tema vero, a un'alleanza o a un'inimicizia. Democrazia parlamentare non vuol dire che la politica si debba fare sempre e solo nel grigiore delle sedi istituzionali, alla buvette di Montecitorio, negli ottusi stanzoni di Palazzo Chigi; o che so, nelle aule e aulette predisposte, magari con resoconto stenografico. La politica si può fare al bar, a casa, allo stadio, o a studio, come dicono a Roma, persino in aereo o all'Ikea. Taluni dicono che la politica riesca particolarmente bene al cesso. Non ci scandalizza che si stabilisca un patto davanti una crostata e perfino davanti a un paio di trionfali tettone. Trovo insopportabili le ironie moralistico-alimentari, tipiche di una società di morti di fame e di sfigati, sulla politica attovagliata che prende le sue decisioni nel magna-magna di un banchetto. Ebbè, che c'è di male? Non mangiate forse pure voi, tristi giacobini dell'anoressia giustizialista? Non preferite anche voi parlare e sparlare davanti a un bicchiere di vino e a una scollatura, anziché nello squallore asettico e astemio di un Palazzo?

Che male c'è se si vedono a cena Casini e Berlusconi, più Draghi Geronzi e il cardinale Bertone? La vicinanza a tavola costituisce già reato e anticamera di golpe? La divisione dei poteri sancita da Montesquieu non vuol dire mica tavoli separati a ristorante... C'è chi vive all'ombra dei salotti per deplorarli e chi sogna irruzioni partigiane per processare gli avidi potenti. E c'è chi chiede elezioni anticipate per sostituire degnamente il salotto della Angiolillo, scomparso con la sua Dignitaria e affidato ad interim al Vicario Vespa che organizza cene, consultazioni di governo e fornisce ai commensali pietanze, attestati e loculi nei suoi prossimi libri. Conosco salotti amabili e civettuoli, altri noiosi e paludati, in alcuni si può vivere una sontuosa estraneità, perché ci sono punti di fuga; in altri si è costretti a star dentro il cerchio magico, il circolo vizioso della Chiacchiera. A volte nei salotti si patisce la fame, a volte la fama. C'è chi sogna di stare al centro della serata, c'è chi gioca di sponda o si offre come spalla, ninnolo e poggiatesta.

C'è chi, più perverso, è presente ma straniero, o si sente una microspia e un voyeur; c'è chi accetta di buon grado il ruolo di ornamento, decorazione e fregio. L'importante è partecipare, per il piacere postumo di dirlo o di tacerlo. Di solito racconta il banchetto chi era marginale e un po' abusivo; mentre tace chi era centrale e decisivo. I corteggiati tacciono, i cortigiani cicalano. In breve, due palle.

È stupido promuovere crociate contro i salotti o brigare per entrarci. Più sano è considerarli quel che sono: serate di routine e di cortese alienazione, in cui si è persa una magnifica occasione per stare con la persona che più si ama, se stessi.

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