Milano chiude bottega: addio a 6 negozi al giorno

Il dato di Confesercenti sul primo quadrimestre del 2013. Male anche la Lombardia con più di 2mila esercizi falliti

Milano chiude bottega: addio a 6 negozi al giorno

«Tra dieci anni in Italia non ci saranno più negozi». Di questo passo saranno tutti chiusi, l'allarme di Confesercenti che ha stimato in 13mila il saldo negativo tra i nuovi esercizi e quelli che hanno abbassato la saracinesca nei primi quattro mesi dell'anno. Cifre da apocalisse che raccontano di 8.006 aperture e di ben 20.756 chiusure che minacciano di portare alla cifra record di 43mila il disavanzo tra le imprese neonate e quelle defunte.

Una situazione che rivela ancor di più la sua tragicità se parametrata su un tessuto economico sano e produttivo come quello lombardo e perfino a Milano città. Perché, parlando della Regione, i dati dell'osservatorio nazionale di Confesercenti per questo primo quadrimestre parlano di 883 aperture, contro 2.146 chiusure e quindi di un saldo passivo che tocca quota 1.263. Terza regione, la Lombardia, in questa spiacevole classifica dove è preceduta soltanto da Sicilia (meno 1.557) e Campania (meno 1.470).

Non se la passa certo meglio Milano, dove gli esercizi defunti sono già 675. E considerando che parliamo soltanto dei primi 120 giorni dell'anno, la media è di quasi sei piccoli esercizi al giorno, per nulla compensati dalle 327 nuove aperture il cui futuro è sempre più incerto. «Una situazione drammatica - spiega il presidente lombardo di Confesercenti Giorgio Ambrosioni - Perché per ogni saracinesca che si abbassa, si spegne una luce in città e si perde un pezzo di socialità, di sicurezza e di cultura. Perché oggi vediamo chiudere anche negozi che hanno cent'anni».

Già pronte le richieste da presentare al governo, «a cominciare dal ritirare questa sciagurata ipotesi dell'aumento dell'Iva dal 21 al 22 per cento. Anzi per rilanciare i consumi l'Iva va abbassata al 20». Perché ci sono altri dati che dimostrano come la capacità di spesa delle famiglie sia ormai ridotta all'osso e i consumi precipitati al livello del 1992. «Solo il reparto tessile e abbigliamento - spiega Ambrosioni - ha registrato un arretramento del 6,3 per cento. Siamo tornati a ventuno anni fa, il governo intervenga sulle politiche del lavoro. Non c'è più tempo da perdere».

Altro capitolo è quello del credito. «Le banche non erogano più nulla - accusa Ambrosioni - i commercianti per tenere aperto hanno messo mano ai risparmi o venduto la casa al mare. E ora cosa fanno?». Per non parlare del costo del lavoro e «di una riforma Fornero già da cambiare perché non consentendo sufficiente flessibilità, ha creato altri vincoli e costi insostenibili per le imprese».

Preoccupazioni condivise da Carluccio Sangalli, il presidente di Confcommercio impegnato ieri a Roma nell'assemblea nazionale. «Nel declino dell'Italia - le sue parole - non vi è nulla di ineluttabile: non siamo vittime di un destino cinico e baro. Scontiamo, invece, scelte sbagliate e scelte mancate».

E per affrontare questa emergenza occupazione, «bisogna procedere con determinazione e coerenza: rivedendo le restrizioni in materia di flessibilità in entrata, affrontando il nodo del costo del lavoro e il suo recente aggravio per l'apprendistato, semplificando procedure e adempimenti che si traducono in ulteriori costi a sei zeri». Ricordando che «il terziario di mercato è stato l'unico grande settore capace di creare occupazione. Abbiamo tutte le carte in regola per continuare a crescere».

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