Milano Si fa presto a dire Cecilia Bartoli: è il mezzosoprano più famoso del mondo ma è anche un’artista tutta d’un pezzo. Ossia: ha coraggio, costi quel che costi. Stavolta pubblica due cd in un colpo solo: uno di registrazioni inedite di compositori vissuti tra Seicento e Settecento, l’altro con le arie più famose a quel tempo cantate dai castrati. Titolo: Sacrificium. Risultato: emozionante, persino fascinoso perché è un repertorio che, per se stesso, obbliga a scavallare indietro di secoli, entrando a piedi uniti nel barocco dell’arte e pure dei costumi, feroci e inconsapevoli di esserlo. I castrati erano obbligati alla mutilazione da bambini, erano migliaia all’anno ma solo pochi, due massimo tre, ce la facevano a raggiungere il successo e mantenere la famiglia che li aveva violentati. Per gli altri: prostituzione o suicidio, comunque emarginazione. Come spesso accade, una tragedia rimossa. Oppure asfissiata dai luoghi comuni. Oppure impolverata nelle cantine della memoria. Perciò la Bartoli è un mezzosoprano tutto d’un pezzo e ce ne fossero, di così coraggiose.
Però, signora, l’idea non può essere nata così, d’improvviso.
«L’incisione in effetti è avvenuta in pochi giorni, carichi di entusiasmo. Ma ci penso da anni e il repertorio è stato trovato nelle biblioteche in giro per il mondo. Però è sempre molto attuale».
Questa è bella. L’ultimo castrato è Alessandro Moreschi, oltretutto l’unico ad aver lasciato una registrazione della propria voce. 1902, signora, più di un secolo fa.
«Oggi naturalmente non si castrano più i bambini, per fortuna. Ma la chirurgia estetica è a livelli mostruosi. Meno crudeli, ma mostruosi. E lo scopo è spesso lo stesso: modificare il proprio fisico per avere successo o per colpa del successo. Michael Jackson ne è stato un esempio. Lui si era mutilato da solo. Ma lo ha fatto per scelta, non per imposizione».
Però i castrati sono stati decisivi nella musica tra Seicento e Settecento.
«Ma immaginatevi il dramma di questi ragazzi che non sviluppavano la loro sessualità, che crescevano con il pomo d’Adamo ridottissimo o quasi inesistente, che ogni giorno erano additati alle risate e agli sberleffi».
Eppure, specialmente nel meridione d’Italia, le famiglie non avevano problemi a obbligare i loro figli a questa mutilazione.
«E sono anche nati compositori famosi come Caldara. La scuola di Nicola Porpora a Napoli, poi, ha fatto epoca».
E il castrato più celebre di tutti, Farinelli, diventò anche Cavaliere di Calatrava e tenne in pugno la monarchia spagnola.
«Ma gli adolescenti evirati ogni anno erano fino a quattromila, praticamente una mattanza. Poi facevano i casting, cercavano di sfondare nel mondo della lirica. Quasi tutti cadevano nella disperazione. Ma quei pochi che ce la facevano, diventavano celebri. I castrati sono stati le prime popstar della storia».
Addirittura.
«L’elemento fortissimo era la loro ambiguità, che attraeva il pubblico spesso in lacrime di commozione durante le loro esecuzioni».
Solo questo?
«No, c’era anche una tecnica spaventosa. Avevano due ottave, tre ottave, riuscivano a fare salti di dodici o anche tredici note».
Ma perché fu necessario far ricorso ai castrati?
«Perché la Chiesa impediva alle donne di cantare, anche se nella lirica il ruolo femminile è sempre stato importante».
Poi il divieto è scomparso e i castrati pure.
«E le donne hanno preso spunto dalla vocalità dei castrati per cantare in pubblico. Ma l’epopea, o il dramma, degli eunuchi è stato lentamente dimenticato e rimosso. Perciò il nostro repertorio è stato così difficile da ricercare.
Sulla copertina c’è un fotomontaggio con il suo volto innestato sulla statua di un uomo.
«Simbolicamente molto forte. Dopotutto i castrati erano uomini con il volto e la voce di donna».
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