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Il ritorno della Storia e la chiusura di McDonald's in Russia

McDonald's arrivò a Mosca nel 1990, poco prima della fine dell'Unione Sovietica. Era il simbolo del trionfo del capitalismo e del liberalismo sul comunismo

Il ritorno della Storia e la chiusura di McDonald's in Russia

L'invasione russa dell'Ucraina è l'ulteriore conferma che la storia, a dispetto di ciò che aveva previsto il politologo Francis Fukuyama alla fine degli anni '80, non è mai finita. Il periodo cosiddetto "unipolare" a guida statunitense può dirsi concluso, perché il nuovo ordine mondiale dovrà e deve tenere conto di altre due potenze, in particolare: la Cina e la Russia. Indicativo e simbolico, in tal senso, la chiusura dei ristoranti McDonald's in Russia, simbolo per eccellenza della globalizzazione. Come riportato dall'Ansa, infatti, McDonald's e Starbucks, ma anche Coca-Cola e PepsiCo, hanno annunciato la sospensione delle loro attività nel Paese. "Continueremo a monitorare la situazione e valutare se ulteriori misure sono necessarie. In questo momento è impossibile prevedere quando potremo riaprire", afferma l'amministratore delegato di McDonald's Chris Kempczincki, annunciando la chiusura di tutti gli 850 punti vendita in Russia. "I nostri valori ci spingono a non ignorare la sofferenza umana inutile" che si sta verificando in Ucraina, aggiunge precisando che la società continuerà comunque a pagare i suoi 62.000 dipendenti nel paese. Ma la chiusura di McDonald's è molto di più di una reazione della società americana all'invasione russa dell'Ucraina: è il sintomo di un mondo che cambia.

Russia, addio a McDonald's: perché è importante

Quando è arrivata nel 1990 a Mosca, ricorda l'Ansa, che era allora ancora parte dell'Unione Sovietica, McDonald's è divenuta il simbolo dell'ascesa del capitalismo a scapito del comunismo. Il liberalismo aveva sconfitto il comunismo sovietico, e ad attenderci, secondo i più ottimisti, ci sarebbero state solo pace e democrazia. Nel suo primo giorno di attività si stima che 30.000 russi si erano messi in fila per assaggiare i suoi famosi hamburger. Ecco perché la chiusura di McDonald's diventa ora simbolicamente rivelante in un mondo che non è già più quello che conoscevamo fino a pochi giorni fa, mentre una nuova Cortina di Ferro è pronta a ergersi fra l'Occidente e la Federazione Russa.

Per contestualizzare meglio quel periodo, alla fine della Guerra fredda gli Stati Uniti si affacciarono sul mondo con la possibilità di esercitare un potere e un’influenza senza precedenti. Con la sconfitta dell’Unione sovietica e la conclusione dell’era bipolare, infatti, gli strateghi americani cominciarono a sognare di modellare il globo a immagine e somiglianza dell’unica superpotenza rimasta. L'apertura di McDonald's a Mosca ne era uno dei simboli. Una visione ottimista del futuro ben espressa dal già citato Francis Fukuyama nella riflessione formulata nel saggio The End of History?, pubblicato su The National Interest nell’estate 1989, nel quale il liberalismo, agli occhi dell’illustre politologo, appare come l’unico possibile vincitore e meta finale dell’evoluzione storica dell’uomo e della società.

L'illusio dell'interdipendenza economica e della globalizzazione "pacifica"

L’opinione diffusa era che gli Stati nazionali, a causa di questa interdipendenza economica e del nuovo mercato globale, di cui McDonald's era a suo modo uno dei simboli, erano "superati". Dopotutto, la presenza di un’unica grande superpotenza (gli Stati Uniti) faceva pensare che l’epoca del realismo politico e dei conflitti era destinata al dimenticatoio. Tuttavia, questa concezione del mondo ben presto entrò in crisi. Prima con gli attentati alle Torri gemelle del 2001; poi con la grande crisi economica del 2007-2008. La vittoria di Donald Trump e il referendum sulla Brexit del 2016, fecero crescere la convinzione che si stava delineando una nuova era, fino alla guerra in Ucraina, l'ultimo tassello di una storia che si riappropria ferocemente dei suoi spazi. "Due paesi che hanno entrambi un McDonald's non hanno mai combattuto una guerra l'uno contro l'altro", dichiarò l'editorialista del New York Times Thomas Friedman nel 1996, come ricorda La Repubblica, sull'onda dell'euforia per la fine della Guerra Fredda e della globalizzazione senza freni degli ann'90. Eppure gli storici più attenti e illuminati, già allora, avevano avvertito che una forte interdipendenza economica non avrebbe scongiurato l'ipotesi di una guerra.

Oggi purtroppo constatiamo quanto avessero ragione.

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