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"Va attesa la fine della guerra". I dubbi del procuratore militare su Vadim

Marco De Paolis, procuratore generale militare, sul caso del sergente 21enne russo condannato all'ergastolo

"Va attesa la fine della guerra". I dubbi del procuratore militare su Vadim

Colpevole o innocente? Eseguiva un ordine o commetteva un crimine di guerra? Ed era questo il momento giusto per processarlo? Sono queste le domande che si accavallano alle notizie su Vadim Shishimarin, il sergente 21enne condannato all'ergastolo per aver ucciso un civile disarmato nel villaggio di Chupakhivka nella regione di Sumy lo scorso 28 febbraio. "Un proverbio latino - ha spiegato ieri il procuratore generale militare italiano, Marco De Paolis - dice che quando le armi risuonano, il diritto tace. Normalmente questo genere di fatti viene giudicato quando le ostilità cessano”.

Quello di Vadim è diventato il processo dell'anno. Mediaticamente importante, soprattutto per l'Ucraina, che ha messo già in moto la macchina giudiziaria che dovrà punire chi si è macchiato di un crimine durante l’invasione. Il processo è durato pochissimo: iniziato il 13 maggio con l'udienza preliminare, si è concluso ieri con la sentenza di condanna. Nel mezzo le scuse di Vadim alla vedova, Kateryna Shalipova, e la richiesta di quest'ultima di scambiarlo con i "difensori di Mariupol".

Il 28 febbraio, dopo un'imboscata al carro armato che comandava, Vadim e altre quattro persone rubano un'auto e cercano di raggiungere il resto delle truppe russe. “Durante il nostro viaggio - ha raccontato il sergente - mentre guidavamo, abbiamo visto un uomo. Stava parlando al telefono. Mi hanno detto che ci avrebbe denunciato”. Vadim sostiene di aver ricevuto l'ordine di sparare e si essersi inizialmente rifiutato. Poi un altro soldato lo avrebbe invitato nuovamente a colpire il civile e lui, a quel punto, avrebbe eseguito “per essere lasciato in pace”. Una raffica colpisce alla testa il civile. Catturato dai servizi segreti ucraini, Vadim ammetterà il crimine, dichiarandosi poi nuovamente colpevole di fronte ai giudici in tribunale.

Secondo la Convenzione di Ginevra, l'Ucraina ha garantito al sergente un difensore di fiducia. Il legale ha chiesto l'assoluzione perché avrebbe "eseguito un ordine”, ma per la procura ucraina - essendo arrivato da un uomo che non era suo diretto superiore - Vadim non era obbligato ad eseguirlo.

Ma è giusto processare un prigioniero di guerra a conflitto in corso? Ospite a Quarta Repubblica, Marco De Paolis ha spiegato che “normalmente questo genere di fatti viene giudicato quando le ostilità cessano". E questo per vari motivi: "Innanzitutto, a causa delle tensioni in atto, i giudizi potrebbero non essere sereni e inquinati dal sospetto della propaganda, anche se sono in buona fede". E poi si tratta di fatti “molto complessi". "Secondo il nostro ordinamento penale militare e nella quasi totalità degli ordinamenti occidentali - ha aggiunto - il soldato non risponde dell'ordine legittimo a meno che questo non sia manifestamente criminoso".

Tradotto: solo se il militare può capire da solo che l'ordine è deliberatamente un crimine, allora può essere chiamato in giudizio. "Però la guerra è una cosa complessa e non si fa pacatamente e razionalmente - aggiunge De Paolis - Ci sono delle esigenze molto rapide. E a volte gli ordini non vengono spiegati nel dettaglio e i soldati non sempre possono rendersi conto". Certo: uccidere un bambino, una donna, un civile inoffensivo o un prigioniero di guerra è un crimine. Ma sui civili va fatta un'ulteriore precisazione: "In questo caso, nella giustificazione del sergente c'è il sospetto che il civile stesse comunicando con qualcuno... Entriamo in una logica molto complessa - insiste De Paolis - Chi è il nemico? Solo il militare in uniforme o anche chi aiuta anche il soldato?”.

"Tecnicamente - ha concluso il procuratore - se il civile abbandona la sua inoffensività e diventa offensivo, può diventare un nemico".

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