Ohibò, e che ci fanno il faccione e i baffoni di Georges Sorel sulla prima pagina del nuovo sito di Montezemolo? Non era Sorel il sindacalista rivoluzionario predicatore della violenza delle masse, della cui dottrina erano imbevuti sia Mussolini che Hitler? Eppure, eccolo là a ricordare ai neonati modernisti immaginari di «italiafutura.it» che «l’avvenire è di coloro che non sono disillusi». Citazione, essa stessa, ambigua: l’avvenire è forse negato a coloro che si sono illusi e sono rimasti scottati?
Non è chiaro, come del resto non è chiaro il contesto generale dell’operazione in cui nasce «italiafutura» di Luca Cordero di Montezemolo il quale assicura che non sta scendendo in campo, mentre allo stesso tempo fa, con decisione, politica. Probabilmente si tratta di un impegno molto astuto, molto sottile, molto d’avanguarde e per di più condotto seguendo le più moderne tecniche di comunicazione americane dei think tank, ma la sostanza è che noi, certamente per nostra inadeguatezza, non siamo riusciti a capire con chiarezza cartesiana che cosa abbiamo di fronte e a che scopo. O forse sì, ma dietro una cortina fumogena.
Si capisce che l’intenzione estetica è quella di introdurre nella società e nell’elaborazione politica un elemento nuovo e possibilmente di rottura, qualcosa che si muova secondo moduli variabili provocati, più che cercati, nella società attraverso interventi settoriali molto sofisticati. Ma non è che la cosa appaia troppo chiara. Montezemolo dice di aver inventato un giocattolo intellettuale all’americana insieme a un gruppetto di economisti e ricercatori, una cosina che permetta insomma di giocare alla politica senza proprio essere partito o manifestare l’intenzione di voler diventare un partito.
Montezemolo ha chiamato con sé in quest’avventura Andrea Romano, docente di Storia contemporanea a Tor Vergata, Roma, il quale assicura che si tratterà di un «gruppo pratico e non partitico». Romano è anche il direttore della fondazione italiafutura con sede in viale Parioli a Roma. Ci saranno poi, anzi già ci sono, uomini di finanza e di industria che finanziano e che si industriano a trar vantaggio dalla nuova iniziativa e fra questi spiccano i nomi di Diego Della Valle, Corrado Passera, Carlo Calenda, Maria Paola Merloni, Gianni Puzo, Luigi Marino, Vittorio Emanuele Parsi, Michele Martone e Angelo Mellone. Il gruppo si presenta bipartisan, destra e sinistra unite nella lotta della modernizzazione, con qualche balzo in avanti ma all’indietro, come quello della chiamata fra i padri ispiratori di personaggi come Sorel che possono definirsi anche, ma non solo, protofascisti. E tuttavia i rumors che accompagnano l’iniziativa nel suo complesso dicono che l’intera operazione avrebbe lo scopo di liquidare definitivamente il Pd enucleando e asportando da esso la parte ancora pulsante e vitale per collocarla in un’area che farebbe più o meno riferimento a Francesco Rutelli, lasciando così il partito di Franceschini in braghe di tela a dibattersi negli spasmi dell’agonia.
E dunque, se questa chiave di lettura fosse giusta (ma potrebbe diventarla col tempo) si tratterebbe dell’embrione di un futuro corpo politicamente alternativo al berlusconismo, concepito in modo tale da non farsi inquadrare e imprigionare in etichette ideologiche: destra e sinistra, popolo e finanza, industria e operai: e dunque la presenza di Sorel e di un forse inconsapevole mussolinismo modernizzato ma della prima ora, non salta fuori per caso o per curiosità, ma a ragion veduta, o almeno allusa.
C’è un’idea sociologica generale dietro questa iniziativa che aspira a diventare anche un’idea forte, un punto su cui far leva partendo dal basso. Quest’idea è che la questione della meritocrazia, prima ancora delle punte di eccellenza, possa costituire la chiave di volta con cui generare una democrazia «populista» ma al tempo stesso delle eccellenze. Nobile concetto e progetto difficilmente non condivisibile che però non si sa, per ora, in che modo possa trasformarsi in politica concreta e reale.
Il raccordo, la cinghia di trasmissione fra popolo e progetto sarebbe ancora una volta internet con le sue possibilità di sviluppo dialogante, che permetterebbe di sviluppare delle campagne e le proposte dal basso. Ma questo non ci sembra francamente il pezzo più forte dell’idea che invece deve per necessità avere ambizioni politiche che però accuratamente evita di indicare e che con diligenza sospetta, respinge.
Un progetto di «rilancio del Paese» non può evitare il passaggio della governabilità e dunque del governo e quindi non può eludere la questione dell’ambizione a fare politica in un modo che si insiste molto nel descrivere come nuovissimo benché faccia parte di pratiche ormai comuni e vecchiotte Oltreoceano dove questo genere di iniziative, però, nei momenti topici della politica confluiscono in grandi organizzazioni come il Grand Old Party repubblicano, che consiste in una costellazione di autonome iniziative, fondazioni, think tank, blog, gruppi di interesse e lobbies.
In Italia nulla del genere esiste e dunque la mancanza di uno sbocco politico naturale lascia indovinare il progetto di crearne uno nuovo ammesso e non concesso che la prima fase appena inaugurata dia i risultati sperati, il che è quanto staremo a vedere nel futuro immediato.
A noi sembra tuttavia che proprio il carattere interclassista, interideologista, bipartisan e volutamente populista non fornisca al grande pubblico italiano proprio ciò cui è più affezionato: una collocazione che dica con chiarezza da che parte si sta e in vista di che cosa. Ma forse questa sarà la sorpresa della fase numero due che per ora italiafutura non vuole rivelare anche se non è difficilissimo abbandonarsi a facili profezie.
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