Nell’«Idomeneo» di Vienna più ombre che luci

Piera Anna Franini

da Vienna

Una gradinata plumbea, sghemba e scoscesa incombe sul palcoscenico così ridotto a poca cosa. Il sipario si leva sui trentadue gradini che recano le tracce di una strage appena consumata: la scena è macabra, morti e feriti ovunque. Senso della tragedia che trova eco nell’orchestra, fra accordi energici, pungenti volatine negli archi e rigoglio in trombe e timpani. È chiara la chiave di lettura, musicale e visiva, di questo Idomeneo, l’opera di Mozart, su libretto di Giambattista Varesco, che Vienna ha scelto per festeggiare un compleanno e il nuovo corso di un teatro. Il compleanno è quello di Mozart (Salisburgo, 27 gennaio 1756), il teatro - a un passo dalla Staatsoper - è il Theater an der Wien. Un edificio costruito nel 1801 da Emanuel Schikaneder, amico di Mozart, librettista del Flauto magico, immortalato nelle vesti-piume di Papageno sopra l’ingresso del teatro. Per decenni casa del musical, ora s’è deciso che il Theater sarà il teatro mozartiano per eccellenza, almeno a Vienna, con una serie di produzioni esclusivamente nel nome del musicista austriaco. Un concerto seminaugurale l’8 gennaio con i Wiener Symphoniker e Placido Domingo e venerdì l’inaugurazione con un’opera coprodotta con la Staatsoper. Per problemi di salute, Seiji Ozawa - il direttore stabile della Staatsoper - non ha raggiunto il podio, sostituito da Peter Schneider, artefice di un Idomeneo a Vienna e a Monaco. Anche il regista Willy Decker, per problemi di salute è stato sostituito dall’assistente Karin Voykowitsch.
Defezioni che non hanno incrinato l’esito di questo Idomeneo per il quale Decker sceglie un elemento fisso in scena, la scala appunto. Da dietro sbuca e poi si ritira il popolo di Creta, ridotto a un fantasma di sé: vesti color cenere, visi smunti e pallidi, occhi cerchiati, donne e uomini calvi. Popolo che spesso si stringe attorno a Idomeneo, il re di Creta che Neil Schicoff, voce ormai lisa ma presenza scenica da artista navigato, rende umanissimo. Il re, quando può, si libera di spada e corona che con fragore rotolano giù per la scala. È poi un continuo e dantesco perdere i sensi. Barbara Frittoli, applaudita a scena aperta, è un’Elettra in perfetto equilibrio tra sensualità e fuoco d’ira. L’allestimento conosce non poche cadute. Rabbrividente la cortina blu con candide colombe che fa da fondale alle dichiarazioni dei due innamorati. Tonfo terribile la vista di colombe che sembrano cornacchie bianche sparse sulla gradinata. Evitabili il Nettuno raffigurato da un occhio disegnato a china su un pannello gigante o quella sorta di grido alla Munch che viene calato a mo’ di sipario.


Allestimento a parte, l’Idomeneo viennese è una ampia tavolozza di colori, con un’orchestra-personaggio a tutti gli effetti. Ciò, con tutto rispetto per i suoni corti, poco vibrati, ottoni all’antica, in breve le filologie alla Harding che alla Scala, il 7 dicembre, condusse un Idomeneo che a maggior ragione possiamo definire non memorabile.

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