Nella villa della «Venere» Paolina

Nella villa della «Venere» Paolina

Quando lo conobbe, nel dicembre del 1820, lei non era più la perfetta bellezza che aveva sedotto i salotti parigini e romani. A quarant’anni, i guai di salute e gli affanni privati avevano offuscato l’incarnato radioso e gli occhi neri di Paolina Bonaparte. Ma anche se non era «la plus belle femme de son temps», come con affetto la ricordava il fratello Napoleone nella solitudine di Sant’Elena, Paolina restava una donna di grande fascino oltre che la principessa più chiacchierata della vecchia e nuova aristocrazia d’Europa. Lui di anni ne aveva solo ventiquattro, veniva da Catania ed era un musicista e operista acclamatissimo, una sorta di secondo Rossini (all’epoca, ma poi fu dimentato). Se Giovanni Pacini si sia realmente innamorato di Paolina o fosse soltanto lusingato dall’aver fatto colpo sulla sorella di Napoleone (ancorché in disgrazia), non sappiamo. Certo è che fra i due cominciò un’appassionata relazione. Che il suo nuovo amante avesse sedici anni meno di lei non preoccupava più di tanto Paolina, abituata a suscitare scandalo fin da quando, venticinquenne, aveva posato per Antonio Canova nelle (scarse) vesti di Venere vincitrice. Separatasi definitivamente, dopo una lunga diatriba economica, dal marito Camillo Borghese, Paolina abitava a Roma, con il consueto sfarzo, al Casino Colonna di Sciarra, che aveva completamente restaurato e ridecorato, e in onore di “Nino” dava raffinati ricevimenti ai quali invitava musicisti, cantanti, artisti e tutti i filonapoleonici di passaggio a Roma. Su questo idillio, piomba improvvisa la notizia della morte dell’Imperatore, il 16 luglio 1821. Paolina, la sorella più sollecita e affettuosa, lei che aveva pensato di vendere i gioielli (di casa Borghese) per aiutarlo durante i Cento Giorni, è disperata. Solo Pacini, al quale è morbosamente legata, riesce a consolarla. Quando Maria Luisa di Borbone nomina Pacini suo maestro di cappella a Lucca, per Paolina è un nuovo colpo. In cattive condizioni di salute, deve aspettare alcuni mesi per seguirlo. Ma poi la sua vitalità ha il sopravvento. A Viareggio decide di farsi costruire una residenza fuori della città. Una casa isolata, immersa nella natura, di fronte al mare, quel mare su cui avevano vagato gli ultimi sguardi del fratello perduto. Villa Paolina è l’ultimo rifugio dell’irrequieta principessa, è «Il rifugio di Venere» come i curatori hanno intitolato la mostra a lei dedicata e aperta fino al 4 settembre in quella che fu la sua casa, progettata, in semplici e armoniose forme neoclassiche, dall’architetto Giovanni Lazzarini e circondata, all’epoca, da un bellissimo giardino. Ma non è la casa dell’ultima felicità. Giovanni Pacini comincia a sentire il peso del legame con quella donna più anziana, nevrotica, malaticcia. Lei gli fa scenate di gelosia, lui accetta commissioni a Roma e a Trieste pur di allontanarsi. Nel maggio 1825 si sposa. Per Paolina è la fine. Alla donna sola, malata e disperata non resta che l’ultimo gesto di affetto del marito: Camillo l’accoglie in una sua residenza fiorentina dove Paolina muore, a 45 anni, il 9 giugno 1825. Come passò impietoso sul bell’ovale della Venere imperiale, così il tempo non ha risparmiato Villa Paolina: i passaggi di proprietà, gli usi impropri, la speculazione edilizia hanno alterato la casa e distrutto il giardino. Ma dai restauri condotti, con ammirevole iniziativa, dall’amministrazione di Viareggio, è riemerso un bagliore di quello che fu lo stile effimero e scintillante del Primo Impero, le delicate decorazioni classicheggianti, i luminosi colori, i trompe l’oeil. Sono ricomparsi, provenienti dai vari musei napoleonici, ad opera dei curatori Glauco Borella e Roberta Martinelli, molti degli oggetti appartenuti a Paolina: le sue pantofoline ricamate, il mantello di velluto verde, la biancheria con il suo monogramma, il taccuino di marocchino rosso, l’anello con il motto «Ma hardiesse vient de mon ardeur». E il pendente di cristallo che contiene i capelli di Napoleone.

Sono le memorie della «merveilleuse» che oltre un secolo dopo affascinò lo scrittore Antonio Baldini, rimasto solo con la sua nivea nudità, nella penombra della Galleria Borghese. Baldini si avvicinò a lei semisdraiata sulla dormeuse, così tenera e viva nella magica morbidezza del marmo canoviano. «Paolina - le sussurrò - fatti in là».

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