«Niente veti: tutti possono studiare i fatti»

Sabbatucci, Chiarini, Lupo e Aga-Rossi: gli specialisti rifiutano la crociata contro i non specialisti

Le dichiarazioni al vetriolo contro gli storiografi «non professionisti» del professor Sergio Luzzatto riportate dal Corriere di ieri hanno messo a rumore il tranquillo stagno di chi si dedica alla ricostruzione del recente passato del nostro Paese. Un po’ di ruggine, infatti, tra i giornalisti che scrivono libri di storia ad alta tiratura e gli accademici, c’è sempre stata. Secondo Luzzatto però: «I libri “storici” di Indro Montanelli hanno fondato un genere che continua a prosperare, e a far danni: per esempio nella forma dei libri “storici” di Giampaolo Pansa o di Bruno Vespa». Una presa di posizione durissima che lascia stupiti e perplessi anche molti accademici.
Il professor Giovanni Sabbatucci della «Sapienza» di Roma (notissimo per il suo manuale) dice: «Non penso si possa trasformare la cosa in una questione di ordini professionali... Non si può pensare a soluzioni che passino per interventi regolativi... Sono d’accordo con Luzzatto che ci sono libri di storia che si dimostrano troppo disinvolti, poco attenti alle fonti. Ma non sempre sono scritti da giornalisti, ci sono anche accademici che lavorano male. Non si può tracciare un confine a colpi di categorie. Le preferenze del pubblico e quelle della comunità scientifica sono, a volte, divergenti. Quello che la comunità scientifica deve fare è prendere parte al dibattito e contestare le tesi non adeguatamente suffragate».
Su una linea non molto diversa Roberto Chiarini, professore di Storia contemporanea della Statale di Milano: «Per grazia di Dio in questo Paese non c’è bisogno che qualcuno autorizzi qualcun’altro a scrivere. Questa polemica finisce per non essere altro che un’auto-accusa agli storici professionisti. Nel nostro ambiente si finisce per scrivere solo per gli addetti ai lavori. Poi nelle parole di Luzzatto vedo una certa velenosità. Se la prende solo con quei giornalisti che imbracciano il “fucile” dell’anti anti-fascismo, o che cercano di ricostruire pagine di storia trascurate... Io me la prenderei piuttosto con l’editoria. I nostri editori spesso fanno gli stampatori e basta. Al professore chiedono quante copie è disposto a comprarsi o a far comprare agli studenti».
Più comprensivo con le posizioni di Luzzatto è Salvatore Lupo, storico del fascismo e della mafia: «Ovviamente non si può trasformare il tutto in una controversia corporativa e non credo che nemmeno Luzzatto pensi davvero che possano scrivere solo gli accademici. Certo che quando Pansa si comporta come se esistesse una storiografia ufficiale che nasconde le cose... Sono panzane, Pansa scrive quello che ha letto nei libri di storia. Quei libri che i lettori di Pansa non leggono...».
Per Elena Aga-Rossi, che vanta un’amplissima produzione di testi sulla Resistenza, sono più i meriti dei divulgatori che i demeriti: «Ci sono buoni e cattivi divulgatori e buoni e cattivi storici. La divulgazione è comunque un bene... Quanto a Pansa, i suoi libri come Il sangue dei vinti hanno infranto un tabù. Proprio in quel testo citò un libro scritto da me e da Victor Zaslavsky: Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca. C’erano le prove di omicidi politici commessi dai partigiani comunisti. Ne nacque una polemica fortissima con Mario Pirani della Repubblica.

Insomma, un certo conformismo su questi temi esisteva e Pansa ha aiutato a romperlo. Certo, se gli storici che sono degli specialisti e tali devono restare, ogni tanto usassero uno stile più semplice sarebbe positivo...».

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