da Milano
Linerzia costa. Limmobilismo non fa risparmiare, anzi. Soprattutto in materia di grandi opere, perché le infrastrutture che si realizzano impongono alla collettività spese elevate; ma quelle che non si realizzano comportano un prezzo ancora più alto. Questa, in sintesi, è la conclusione alla quale sono arrivati gli esperti della società di ricerca Agici, che hanno calcolato i «costi del non fare» e che presenteranno oggi a Roma i risultati contabili della loro indagine. Che sono i seguenti: negli ultimi tre anni il nostro Paese avrebbe perso 14,2 miliardi di euro per non avere adeguato alle nuove esigenze la rete ferroviaria (3 miliardi), quella autostradale (4,6 miliardi), la gestione dei rifiuti (4 miliardi) e gli impianti energetici (2,6 miliardi, dei quali 1,1 per la mancata realizzazione di rigassificatori). La ricerca Agici, condotta da economisti dellUniversità Bocconi, si basa su unanalisi costi-benefici che ha preso in considerazione gli aspetti economici, gli effetti ambientali e le ricadute sociali della mancata o ritardata realizzazione delle infrastrutture.
E se la fotografia è quella che è, lo scenario di lungo periodo presenta previsioni fosche, ancora peggiori di quelle contenute nel dossier che lEnel e lo studio Ambrosetti avevano presentato nello scorso settembre e in base al quale la politica del non fare può costare allItalia «il 3% del Pil» e far pagare nei prossimi 13 anni alla nostra collettività una sorta di maxitassa da 200 miliardi. Secondo lo studio dellEnel, la mancata realizzazione dei rigassificatori costerà 5,9 miliardi di euro. E quella delle centrali a carbone dai 4 ai 7 miliardi di euro.
I responsabili dello studio condotto dalla Agici in collaborazione con aziende e associazioni che operano nei settori delle infrastrutture (fra le quali Enel, Terna, Autostrade per lItalia, Waste Italia, Federambiente, Comieco e Assocarta) assicurano che se limmobilismo non lascerà il posto in fretta al dinamismo il Bel paese perderà 251 miliardi da qui al 2020. E, sembra di capire, si avvierà verso quel declino giustamente temuto da tutti coloro, ministro dellEconomia in testa, che guardano con preoccupazione al nostro tasso di crescita, ormai da anni inferiore a quello dei Paesi con i quali abitualmente ci confrontiamo e con i quali abbiamo i maggiori scambi commerciali.
Ma quali sono le forze che danno vigore allostruzionismo del non fare? Gli esperti dellAgici non hanno dubbi: a frenare la modernizzazione del nostro Paese sono «le opposizioni sociali, le lungaggini procedurali e burocratiche, linerzia politica e le difficoltà progettuali». Ovvero: le proteste più o meno spontanee dei cittadini che si oppongono alla realizzazione di opere di interesse pubblico; le sovrapposizioni di competenze fra Comuni, Comunità montane, Asl, Province, Regioni, ministeri e magistratura, lincertezza delle norme e la prevalenza del cavillo; la debolezza dei governanti, incapaci di prendere e difendere con coraggio e senso di responsabilità decisioni che possono essere impopolari. Se a tutto questo si aggiunge lorografia della Penisola, gli ostacoli urbanistici e i vincoli paesaggistici e archeologici, si ottiene il risultato che è sotto gli occhi di tutti. E cioè che, per esempio, se lItalia non aprirà in tempo i cantieri della Tav fra Lione e Torino rischia di perdere il miliardo di euro che lUnione europea sarebbe pronta ad assegnarle nel capitolo dedicato alle reti continentali.
Ma il caso di inerzia che con il suo carico di problemi economici, sociali, tecnici, organizzativi e giudiziari, rappresenta forse meglio litalian way alle (mancate) infrastrutture è leterna emergenza rifiuti della Campania.
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