«Non sono un purista del blues, amo cambiare sempre»

Certo il grande pubblico lo conosce a malapena, ma per chiunque abbia imbracciato una chitarra o amato il blues rock, Jeff Beck è una leggenda vivente. Perbacco ha suonato negli Yardbirds con Jimmy Page prendendo il posto di Eric Clapton, ha formato band importanti con personaggi come Rod Stewart, soprattutto ha rinnovato l’agonizzante beat inglese post ’66 con un suono al tempo stesso duro ed elegante, sperimentale e tradizionale all’insegna del virtuosismo ma anche del gusto estetico. Beck da allora è un Giano bifronte che da un lato rifonda il rock blues e dall’altro propone eleganti e melodici tour de force strumentali, entrati nei manuali per chitarra, come Beck’s Bolero o l’album Wired con una rilettura del classico jazzGoodbye Pork Pie Hat di Charlie Mingus. Insomma non stupisce che il suo ultimo cd, dal vivo, sia dedicato a Les Paul, gigante della chitarra jazz (che ha dato nome alla più popolare chitarra Gibson) e inventore della registrazione multitraccia.
Com’è nato il suo amore per Les Paul?
«Tutti pensano che noi ragazzi inglesi, negli anni ’60, fossimo innamorati solo del blues di Muddy Waters, ma io andavo oltre. L’ho sentito per la prima volta alla radio, nel mio salotto; avevo 6 anni e mi incantò. Da quel momento ho sognato di suonare come lui».
Ma all’inizio lei era un duro della chitarra.
«Si, ma presto cominciai a capire che l’importante non è l’assolo brutale a tutto volume, c’è anche il colore, la melodia, la fantasia. Per questo ho lasciato gli Yardbirds. Il successo facile non mi è mai interessato».
Non le sarebbe piaciuto entrare con Page nei Led Zeppelin?
«Chi non avrebbe voluto suonare nei Led Zeppelin? Ma non ci ho mai pensato, non è un mio rimpianto. Ho dato e avuto dal rock esattamente ciò che volevo. Il trio con gli ex Vanilla Fudge Bogert e Appice è stata un’esperienza entusiasmante».
Non ha sentito il peso di sostituire Clapton nella band?
«Fra noi non c’è mai stata rivalità. Lui è andato con John Mayall per approfondire il blues, io ho allargato il mio spettro sonoro, ma non ci siamo mai persi di vista. Ora anche lui ha fatto un album di jazz in memoria di quando era bambino. L’anno scorso abbiamo fatto un tour insieme ed è stato fantastico».
Quali sono le differenze stilistiche tra lei e Les Paul?
«Lui era un maestro del jazz, conosceva trucchi incredibili. Poi c’è una differenza di suono perché lui usava la morbida Gibson e io la Fender Stratocaster più rockeggiante. Inoltre lui usava il plettro e io no».
E tre lei e Clapton?
«Lui conosce i più intimi segreti del blues, ha quel suono sporco che solo certi neri tirano fuori dall’anima».
E i suoi bluesmen favoriti?
«Muddy Waters il più carismatico, Howlin’ Wolf il più selvaggio, Buddy Guy il più tecnico».
Solo Guy è ancora vivo: il blues non ha eredi?
«Il vero blues non muore mai e ci sono sempre nuove generazioni che ne raccolgono l’eredità».
Però lei ha cambiato genere.
«Ci mancherebbe che non mi evolvessi continuamente, a volte mi capita inconsciamente. Sento un pezzo e mi porta in una direzione diversa. Due anni fa Zucchero mi chiamò per un concerto benefico a Viareggio, arrivai con Jason Rebello - che suona il piano anche con Sting - e decidemmo di fare Nessun dorma.

Non l’avevamo mai eseguita prima e ci buttammo senza rete a rifare quel capolavoro con chitarra e tastiera; fu da incoscienti ma il pubblico impazzì».
Lei è stato inserito nella R’n’R Hall of Fame sia come solista che come chitarrista degli Yardbirds. Ma chi è Jeff Beck veramente?
«Uno che non ha paura di cambiare e di gettarsi nel buio».

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