Ora i Ds perdono anche l’Europa

Gianni Baget Bozzo

Quando Forza Italia perse le elezioni regionali dileguandosi come partito, i politologi consigliarono a Berlusconi di accettare subito la sfida delle nuove elezioni, evitando il logoramento di un lungo anno di governo di fronte a una opposizione che aveva la vittoria in tasca ed era libera dalla responsabilità del governare. Sembravano consigli assennati: se Berlusconi avesse scelto le elezioni dopo il 4 aprile, il fenomeno delle defezioni a sinistra non sarebbe avvenuto. E nei mesi di aprile e di maggio pareva che i politologi avessero avuto ragione. Sennonché il tempo è galantuomo e, nel mese di giugno, sulle spalle del prodismo è caduta l’Europa.
Quale titolo particolare aveva Prodi per pretendere di «prodizzare» tutti i partiti del centrosinistra italiano? Il suo titolo implicito ma evidente era che egli era mister Europa; aveva alle sue spalle l’asse franco-tedesco che reggeva l’Europa dalle origini e a cui si era aggiunta, buon terzo, la Spagna di José Luis Zapatero.
Questa era la tradizione europea del centrosinistra italiano della prima Repubblica e particolarmente della Democrazia cristiana, che aveva fatto dell’Europa franco-tedesca il suo punto di riferimento.
Essa era molto appetitosa per la sinistra non solo perché la maggioranza tedesca era socialdemocratica e verde e perché il punto di forza dell’intesa franco-tedesca era diventato l’antiamericanismo, il cui capo militante era il presidente della Repubblica francese, Jacques Chirac. Prodi rappresentava a un tempo la politica europea della Democrazia cristiana verso Germania e Francia, impersonava l’europeismo classico; la socialdemocrazia tedesca lo colorava di sinistra; infine l'antiamericanismo dava ai partiti estremi dell’Unione un collante particolarmente energico per stare a sinistra sotto le bandiere dell’Europa tradizionale.
Prodi, come mister Europa, compiva alla perfezione i desideri di tutte le anime del centrosinistra, li univa mantenendoli nella loro diversità.
Berlusconi era visto come la provincia italiana e come la soggezione agli Stati Uniti, l’esponente della pratica di un atlantismo subamericano sconosciuto in quella forma alla politica estera italiana, il creatore di un asse con Londra lontano dalla tradizione della politica estera italiana.
Nel mese di giugno sull’Europa è caduta la folgore dei referendum francesi e olandesi. Per la prima volta il principio democratico non ha giocato a favore delle istituzioni europee: la convinzione che il più d’Europa volesse dire più potere a Bruxelles non teneva più agli occhi dei popoli che ne erano stati i più convinti promotori. Nei luoghi in cui l’Unione Europea era nata, essa cessava di essere un autonomo principio di legittimità e le veniva contrapposta a livello popolare la dimensione nazionale.
E il rifiuto avveniva sul documento centrale, la Costituzione europea che avrebbe dovuto segnare la forma definitiva del primato delle istituzioni europee sulle istituzioni nazionali. Quel passaggio bloccato è l’evento con cui occorre fare i conti. La via iniziata nel ’49 con il trattato del carbone e dell’acciaio, guidata dalla speranza federalista, ora è interrotta.
E l’effetto si è visto nel vertice europeo in cui la Gran Bretagna ha potuto isolare la Francia sul tema fondamentale della politica francese verso l’Unione Europea, quella imposta da De Gaulle con la politica della sedia vuota a Bruxelles: il sussidio ai prodotti agricoli francesi.
Blair ha potuto condizionare la riduzione del rimborso britannico alla revisione della politica agricola dell’Unione e ottenere su questo punto un vasto consenso, che ha compreso i Paesi dell’Est, l’Italia e la stessa Spagna di Zapatero.
Ma il fatto maggiore è avvenuto al Bundestag tedesco quando la leader del Cdu-Csu, Angela Merkel, ha dichiarato, contro il cancelliere Schröder, di appoggiare la tesi britannica, con lo slogan di «più ricerche e meno contadini», sostenendo quindi la revisione della politica agricola. Il successo della Cdu nei sondaggi è così alto che il suo leader può permettersi di rinunciare al voto degli agricoltori tedeschi beneficiari dei sussidi europei.
L’asse franco-tedesco è dunque rotto e i privilegi francesi vengono denunciati come contrari a un tempo alle finalità primarie dello sviluppo economico europeo e all’accesso dei Paesi poveri ai mercati dell’Unione. L’Europa di Prodi dunque non c’è più, ci troviamo di fronte a un cambiamento di cui non possiamo indovinare le proporzioni, ma in cui l’asse italo-britannico disegnato da Berlusconi assume tutta la sua rilevanza.
Bene, presidente Berlusconi, il tempo è galantuomo e la coalizione di centrosinistra ha perso la sua identità europea. Le primarie consumeranno quel che rimane della sua unità nazionale.


bagetbozzo@ragionpolitica.it

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