«Ora vediamo se Obama manterrà le promesse»

A mio nonno tagliarono le mani. Poi lo decapitarono

«Ora vediamo se Obama manterrà le promesse»

Alecco Bezikian, 67 anni, imprenditore di Bergamo, è cittadino italiano da una vita, ma il suo cuore batte per il popolo armeno. Della famiglia d’origine si è salvato solo il padre accolto a sette anni in un orfanotrofio libanese. Bezikian è il coordinatore della Federazione euro-armena per la giustizia e la democrazia con sede a Bruxelles. Un’organizzazione che rappresenta un milione di armeni in 23 Paesi dell’Unione europea.
Come considera il riconoscimento del genocidio armeno da parte della Commissione Esteri del Congresso americano?
«Per noi è una tappa fondamentale. La Turchia contava sugli Stati Uniti per continuare a negare il genocidio degli armeni. Nell’ultima settimana i turchi hanno mandato negli Stati Uniti ben tre delegazioni per convincere i congressisti a votare contro. La risoluzione è passata per un voto, ma la battaglia continua perché adesso arriverà nell’aula del Congresso. Ci siamo abituati: da 100 anni lottiamo per far riconoscere il genocidio del nostro popolo. I turchi hanno sempre pensato di essere i nipotini viziati degli americani, ma questa volta è andata diversamente».
Perché la Turchia non ammette una tragedia imputabile all’impero ottomano?
«Ho preso il nome da mio zio Alessandro. I turchi gli tagliarono le mani e lo decapitarono davanti alla famiglia ad Adana, dove lo sterminio cominciò nel 1910. I turchi si giustificano dicendo che tutto capitò a causa della Prima guerra mondiale scoppiata quattro anni dopo. Una loro legge continua a prevedere la punibilità per chi riconosce il genocidio armeno. È capitato allo scrittore Orhan Pamuk, un premio Nobel. Il timore della Turchia è che riconoscendo il genocidio si apra il contenzioso sui beni che dovrebbero restituire o ricompensare agli armeni e sulle terre perdute. Ma noi, prima di tutto, vogliamo un riconoscimento morale per il milione e mezzo di martiri armeni trucidati».
E se Ankara per ritorsione si sganciasse dall’impegno militare in Afghanistan e mettesse in discussione la concessione agli americani della base aerea di Incirlik?
«Sono solo parole, velate minacce. E poi se i turchi si ritirassero dall’Afghanistan la missione internazionale andrebbe avanti lo stesso. La loro presenza è poco più che di facciata. La base di Incirlik fa parte dello schieramento Nato. Che fa la Turchia... esce dall’Alleanza atlantica?»
Il presidente puntava anche su Ankara per le sanzioni contro l’Iran.
«La Turchia non riuscirà a giocare con gli americani il ricatto iraniano. L’Europa e gli Stati Uniti hanno la forza per decidere da soli».
La normalizzazione dei rapporti fra i turchi e la Repubblica armena, nata dalla ceneri dell’Urss, è possibile?
«Il 10 ottobre dello scorso anno è stato firmato l’accordo di Zurigo sui confini, ma non c’era alcun riferimento al massacro. In Armenia vivono tre milioni di abitanti, ma nel mondo la diaspora conta 8 milioni di armeni. Ankara tenta come sempre di dividere gli armeni. Noi comunque ci battiamo per far entrare la giovane Armenia in Europa».
Obama mercoledì ha chiamato il presidente Gul per far passare in Parlamento i protocolli di normalizzazione tra Turchia e Armenia. Adesso la Casa Bianca è in imbarazzo?
«Negli Stati Uniti vive un milione e mezzo di armeni che ha votato per Barack Obama. Il presidente degli Stati Uniti si era impegnato, durante la campagna elettorale, a far riconoscere il genocidio. Stiamo a vedere se manterrà la promessa fino in fondo».
La Turchia è pronta ad entrare in Europa?
«Il Parlamento europeo nell’87 ha riconosciuto il genocidio degli armeni. Il governo turco si dice democratico e moderno, ma vuole aggregarsi all’Europa senza nemmeno chiedere scusa per il genocidio compiuto.

Noi non diciamo che i politici turchi siano colpevoli, ma che continuano a fare i negazionisti. L’Europa non si comporta così. La Germania ha ammesso in ginocchio i tragici errori del passato. I governi europei devono far pressione su Ankara».
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