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Ortega si riprende il Nicaragua: la destra divisa gli regala il potere

Con il 40% scarso dei voti l’ex guerrigliero vince le presidenziali al primo turno grazie a un accordo con i vecchi nemici

Roberto Fabbri

A volte ritornano. Invecchiati, imbolsiti, politicamente riciclati per cancellare i peccati originali: ma ritornano. Sembra essere questo il destino di Daniel Ortega, marxista del Caribe molto apprezzato da Fidel Castro e dai cattocomunisti di casa nostra e visto come il fumo negli occhi dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. Sì, perché stiamo parlando degli anni Ottanta del secolo scorso: c’erano ancora la guerra fredda, l’Unione Sovietica e la Democrazia Cristiana. E in Nicaragua c’era lui, quarantenne rivoluzionario che nel nome dell’eroe popolare Sandino tentò di fare del suo Paese una seconda Cuba, Paese al quale doveva peraltro la sua formazione come guerrigliero.
Il Nicaragua sandinista finì insieme con quel decennio dopo una sanguinosa guerra civile costata trentamila morti e dopo che, nel febbraio 1990, un ammorbidito Ortega accettò la sfida elettorale della filoamericana Violeta Chamorro, che lo sconfisse e divenne presidente. L’ex guerrigliero non rinunciò alle speranze di tornare al potere, ma due nuovi tentativi elettorali, nel 1996 e nel 2001, furono bocciati nelle urne dai nicaraguensi. Ora il clamoroso ritorno da vittorioso, sancito da numeri ancora non troppo nitidi, determinato dalla stoltezza dei suoi avversari conservatori che contano insieme sulla maggioranza assoluta dei suffragi ma che hanno pensato bene di presentarsi divisi per perdere meglio e da un sistema elettorale che consente di vincere già al primo turno con solo il 40 per cento dei voti, o addirittura con il 35 se il distacco del secondo classificato supera i 5 punti.
Le cifre più aggiornate danno Ortega fra il 38 e il 40 per cento, mentre i suoi litigiosi avversari Eduardo Montealegre e José Rizo, bloccati al 30 e al 20 per cento rispettivamente, sembrano condannati alla sconfitta senza ballottaggio, e soprattutto al marchio indelebile di idioti politici.
Al suo trionfale ritorno Ortega si è preparato con abilità strategica. Carta decisiva per la sua vittoria è la spregiudicata alleanza con parte di quella destra che lui stesso combatté negli anni della guerra civile. Al suono di una versione modificata di Give peace a chance di John Lennon («Tutto quel che vogliamo è pace, lavoro, riconciliazione»: chissà che direbbe l’autore...) sandinisti ed ex somozisti, sostenitori della dittatura abbattuta a fucilate nel 1979, si ritrovano contro l’ideologia liberale. Ortega non sembra aver gettato alle ortiche il marxismo: piuttosto gradisce, e molto, la disponibilità ad appoggiarlo del ricco Jaime Morales, un signore buono per tutte le stagioni che prima di ritrovarsi alla guida dei Contras finanziati da Reagan era stato vicino all’innominabile Somoza.
La ritrovata armonia tra i due ex nemici per la pelle è stata sancita da un fatto più che simbolico: un risarcimento a Morales da parte di Ortega per l’appropriazione «rivoluzionaria» della sua villa di Parque del Carmen, che il presidente-guerrigliero aveva trasformato in residenza privata.
Lo stesso nome del movimento politico guidato da Ortega, e di cui Morales è il vice, parla chiaro: si chiama «Unida Nicaragua triunfa». Forse passare la spugna sulle divisioni e sulle violenze del passato è la cosa giusta, ma fa comunque un certo effettaccio vedere affiancate le bandiere rosse e nere dei sandinisti e quelle rosa-fucsia del nuovo ibridissimo partito.
Gli irriducibili della revolución sibilano critiche sull’eccessivo attaccamento al potere di Ortega, un difetto che a loro dire sta dietro alla scelta di risposare in chiesa, un anno fa, la donna già impalmata in clandestinità nel 1978 e che lo ha spinto a concedere un incredibile voto contro l’aborto terapeutico. In cambio, dicono le malelingue (che non di rado però ci prendono), lo storico arcivescovo Obando y Bravo, anche lui negli anni Ottanta sul fronte opposto a quello dei sandinisti, ha concesso la sua benedizione al «compromesso storico» in salsa nicaraguense. E il sessantenne Ortega, panciuto e infartuato, ringrazia e torna al potere.

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