Pechino si fa la sua Cnn per invadere il mondo anche con la propaganda

La tv di Stato cinese Cctv trasmetterà in inglese in tutto il pianeta: nuove sedi negli Usa e in Africa

Pechino si fa la sua Cnn  per invadere il mondo  anche con la propaganda

Una volta c’era la Cnn, faro della tv globale, poi è stata scavalcata da Al Jazeera, la tv internazionale del Qatar. Prima in arabo, e da un po’ in inglese, è la punta di lancia della «guerra» dell’informazione.

Adesso ci provano i cinesi a copiare la formula, lanciando la loro tv in inglese alla «conquista» dell’Africa e soprattutto dell’Occidente. Un progetto per migliorare l’immagine della super potenza comunista e per penetrare attraverso il tubo catodico negli Stati Uniti ed in Europa.

Il Financial Times ha rivelato che la Cctv, la televisione di Stato cinese, sta per aprire un quartier generale a Washington, da dove trasmetterà in inglese. Cctv international esiste già dal 2004, ma l’obiettivo è partire a metà 2012 con una programmazione autonoma di almeno sei ore nella lingua internazionale. La prima mossa è l’affitto di 3400 metri quadrati al 1099 di New York Avenue, nella capitale Usa.

Non solo: i cinesi stanno assumendo tecnici per un grande studio tv e vorrebbero ingaggiare un testimonial di alto profilo, come fece Al Jazeera nel 2066 con sir David Frost. Il piano è stato ideato nel 2001 da Li Changchun, un alto funzionario del governo cinese che controlla i media.
«I leader cinesi si sentono coinvolti in una “guerra” globale per il controllo della pubblica opinione. Sono ossessionati dal trovare un modo per conquistarsi la loro fetta di influenza attraverso lo share» spiega da Pechino David Bandurski, direttore di una Ong che monitora i media. Non a caso la tv cinese, dopo lo sbarco a Washington, punta all’Europa dove vuole aprire il suo secondo quartier generale nel cuore dell’Occidente. La lotta per rendere la Cina comunista più presentabile nel mondo si combatte anche in Africa, dove Pechino ha grandi interessi economici e se ne frega dei diritti umani. A Nairobi, capitale del Kenya, è in allestimento la sede all’Equatore della Cctv international.

I servizi in lingua inglese rivolti all’estero sembra che saranno più «liberi» rispetto a quelli per il pubblico domestico e non attaccheranno di petto l’Occidente in una riedizione televisiva della guerra fredda. L’obiettivo è quello del «soft power», che meglio si adatta ai mandarini comunisti al potere a Pechino. In quest’ottica un altro colosso cinese dei media di Stato, l’agenzia di stampa Xinhua, è sbarcata da luglio nel cuore di New York. A Times Square, una delle piazza più famose al mondo, ha affittato un grande spazio pubblicitario. Il contratto durerà anni, anche se non si conoscono i dettagli e cosa vorrà pubblicizzare l’agenzia. La Nuova Cina ha diecimila giornalisti e pubblica 20 quotidiani e 12 periodici in varie lingue, compreso l’inglese.

Forse lo spazio pubblicitario a Times Square servirà da lancio alla tv con gli occhi a mandorla che parla inglese e pensa come i comunisti di Pechino.
Non più mostri mangiabambini, ma abili ammaliatori che cercano di penetrare in Occidente con l’informazione e la cultura, dopo averlo già fatto economicamente. Dal 2004 si è sviluppato nel mondo l’istituto confuciano. Una volta le guardie rosse facevano a pezzi i testi del grande filosofo ed oggi lo cavalcano. L’istituto, che promuove corsi di cinese, l’amicizia fra i popoli e la cooperazione didattico-scientifica, è finanziato da un’organizzazione senza fini di lucro affiliata al ministero dell’Istruzione della Repubblica popolare.

La struttura, apparentemente simile alla Società Dante Alighieri che promuove la nostra cultura all’estero, si è espansa in tutto il mondo, compresa l’Italia dove ha stretto accordi con le università di Roma, Bologna e Milano.

Però la Cina viene accusata di utilizzare il paravento di Confucio per carpire segreti industriali o provare a limitare le libertà accademiche. Pechino non si scompone e paga copiosi inserti sui grandi giornali internazionali per propagandare il moderno cavallo di Troia culturale.

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