«Non facciamola più spessa di quello che è» perché «terroni e polentoni sono due figure classiche non solo del cinema e della fiction, ma anche del teatro italiano». Ha replicato «alla lombarda» Fedele Confalonieri alla lunga lettera con la quale Luca Zaia, neogovernatore del veneto, aveva indirizzato al presidente di Mediaset il forte disappunto provocatogli dalla vista di Giovanni Brenta (Giovanni Bazzoli), l’agente centralinista di Distretto di polizia 10 che parla con accento bergamasco e non appare un fulmine di guerra. Ne è nato un polverone politico-mediatico, una piccola frizione tra certi ambienti leghisti e il Biscione di Cologno Monzese. «Mi spiace constatare», ha calcato la penna il governatore del Veneto «che la più grande rete televisiva commerciale d’Italia abbia sposato l’andazzo di culturame razzista nei confronti del Nord e dei suoi abitanti».
A dire di Zaia, i padani, lombardi veneti o piemontesi che siano, nelle fiction prodotte a Roma vengono rappresentati con «stereotipi inaccettabili». Da qui la «forte incazzatura mia e di milioni di miei concittadini a est e ovest dell’Adda e del Tagliamento». Milioni eh. Vien da chiedersi se il governatore veneto ci creda davvero. Se abbia avuto un calo d’ironia. Se abbia cercato un po’ di visibilità sui giornali o, più probabilmente, di far bella figura presso i suoi elettori.
Chi ha seguìto le precedenti edizioni di Distretto di polizia ricorda che lo stesso ingenuo centralinista era Ugo Lombardi, interpretato da Marco Marzocca, di chiara provenienza romana. Ma allora, come ha rilevato Pietro Valsecchi che della serie tv è il produttore, non si era levato «alcun coro d’indignazione». Sarà stato forse un calo di attenzione, ma a Zaia e ai suoi «milioni di concittadini» dev’essere sfuggita anche la figura del veneto puntiglioso e un po’ pedante dei Cesaroni, quell’Antonio Barilon (Giancarlo Ratti) vicino di casa della romanissima e caotica famiglia di Giulio e Cesare (Claudio Amendola e Antonello Fassari) con i quali, prima della progressiva integrazione, spesso si scontrava causa eccessiva pignoleria. Contrasti di famiglia, sensibilità conflittuali, abitudini e mentalità diverse che ritornano anche in Un ciclone in famiglia che di volta in volta mette in evidenza gli eccessi di un Massimo Boldi in versione tirchio bauscia, di un Maurizio Mattioli, invadente e appiccicoso romano e del pignolissimo napoletano interpretato da Carlo Buccirosso. Ma anche qui, niente proteste.
Sconfinando in casa Rai, Adriano Ventoni (Alessio Boni), stravagante ornitologo del nord est, è stato il personaggio più positivo della seconda serie di Tutti pazzi per amore. Occhialini da studioso e capelli arruffati, ha finito per sposare l’ex-cognata incinta e vedova del fratello Michele (Neri Marcorè) che, dall’aldilà, tifava per la nuova unione. Anche in questo caso le antenne leghiste non hanno rilevato nulla, magari menando vanto della simpatia costruttiva che pervadeva un loro concittadino, seppure della finzione.
Scendendo a sud dello Stivale, che cosa dovrebbero dire i siciliani, sempre mafiosi fin dai tempi della Piovra per proseguire con Il capo dei capi e riscattati solo ora dal Montalbano di Luca Zingaretti che però agisce a Vigata dove non c’è traccia di Cosa nostra. Per ora non si registrano lettere di protesta del governatore siciliano Raffaele Lombardo. Ma non si sa mai.
Il fatto è che polentoni e terroni son sempre stati i prototipi dell’invenzione narrativa del Belpaese. Basta pensare alla quantità di mariti fedigrafi napoletani e di procaci e svampite domestiche venete che hanno popolato la commedia all’italiana degli anni Sessanta. A tutta la cinematografia comica, da Totò a De Filippo. Alla televisione dello stesso periodo con Vianello e Tognazzi a imperversare nella parodia del Mario Soldati di Alla ricerca del cibo genuino che in Un due tre mettevano in ridicolo i contadini della Valcamonica (Brescia).
Insomma, esiste un federalismo di temperamenti, di indoli e caratteri che da sempre riempie la televisione e il cinema. E che deriva addirittura dalla commedia dell’arte, dai tempi di Goldoni e dei vari carnevali di Arlecchino e Pantalone che sapevano dare a tutte le situazioni un irresistibile carattere comico. O, almeno, umoristico.
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