Con Luca Zaia che scende in campo per chiamare a raccolta i donatori di plasma per i prossimi tempi bui del coronavirus, è stato ufficialmente sdoganato un sistema che alcuni esperti definiscono storcendo il naso «antico». In effetti, gli anticorpi dei pazienti guariti usati per guarire i malati, sono stati utilizzati fin dai tempi della «Spagnola».
Ma la ricerca scientifica è andata oltre. E dopo il via libera di Aifa e Iss alla sperimentazione sul plasma con una ricerca nazionale e le soddisfacenti sperimentazioni in corso in molti ospedali, si cercano strade più snelle e sicure per trasfondere i «miracolosi» anticorpi a chi sta molto male.
A Bergamo, per esempio, stanno usando una piccola macchina che depura il sangue di un donatore, estrae solo gli anticorpi contro il Covid, e restituisce il plasma al gentile ex paziente.
La macchinetta è una creazione di Mauro Atti, amministratore di Aferetica, una start up che si occupa del trattamento del sangue. «Stiamo collaborando con l'Istituto Mario Negri e l'ospedale di Bergamo ammette - per usarla sul plasma dei pazienti Covid».
Ed è il professor Piero Ruggenenti, capo della nefrologia del Papa Giovanni XXIII, che ha avuto l'intuizione. «Noi generalmente usiamo la macchina per eliminare quegli anticorpi del plasma dannosi ai reni in certe patologie spiega Ma ci siamo detti: perché, per combattere il Covid, invece di buttare via gli anticorpi del paziente guarito non li usiamo per il paziente che sta male? Così, prendiamo il plasma del donatore, lo filtriamo per togliere gli anticorpi che raccogliamo in una sacca sterile e restituiamo il plasma al donatore. I risultati sono due: il donatore si tiene il suo plasma e non lo butta via e si raccolgono gli anticorpi ad alta concentrazione per fare trasfusioni al paziente malato. E il paziente riceve una quantità di anticorpi da tre a cinque volte più alta di quello che succede normalmente per unità di trasfusione».
Ma per capire se tutto funziona senza reazioni allergiche è stata approvata dal comitato etico del Papa Giovanni una sperimentazione dedicata ai pazienti con prognosi severa. «Da aprile, quattro pazienti gravi e intubati hanno ricevuto le infusioni racconta Ruggenenti - due sono letteralmente guariti nel giro di una settimana, uno è passato alla mascherina e poi guarito, il quarto è tutt'ora intubato. E questo rispetto alla platea dei pazienti gravi che rimangono circa 30 giorni in terapia intensiva e 3 su dieci non ce la fanno».
Il campione è piccolo ma molto significativo. I dati confermano che non ci sono state reazioni avverse alla terapia e soprattutto dice il nefrologo «non c'è rischio del sovraccarico di un'infusione di plasma, che in un paziente che non respira non è un toccasana. Inoltre, la procedura costa molto meno, circa la metà di una plasmaferesi e non richiede l'utilizzo del plasma dei donatori».
Un altro tassello dunque, si aggiunge alle sperimentazioni in atto sull'uso e l'efficacia del plasma utilizzando gli anticorpi neutralizzanti. E la più importante è quella organizzata dal San Matteo di Pavia da cui si aspettano i risultati a giorni. Ma per capire chi ha gli anticorpi «buoni» si devono effettuare i test sierologici. E lo stesso Zaia ha annunciato che l'Azienda ospedaliera di Padova collaborerà con il San Matteo sul discorso test. Ma per andare avanti su questa strada servono i donatori.
«Verrà inviata una lettera a tutti coloro che sono guariti per il prelievo del sangue - ha detto il governatore del Veneto - Dev'essere poi fatta un'analisi della qualità della risposta anticorpale. Si chiede a tutti la disponibilità per costituire questa banca del sangue. Facciamo un magazzino, perché non vogliamo trovarci a settembre che tutto funziona e manca la materia prima».
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