La camorra li ingaggia, promettendo un «posto sicuro»: da malavitoso

Sono gli immigrati i nuovi camorristi del centro storico. Giovani nordafricani reclutati dal clan Giuliano di Forcella (quello diventato famoso in tutto il mondo per la foto dei boss nella vasca da bagno a forma di conchiglia con Diego Armando Maradona) che stanno via via prendendo il posto dei napoletani.

Non era mai successo, nella storia della criminalità organizzata campana, che le cosche aprissero le porte agli stranieri affiliandoli come veri e propri «soldati». Gli arresti e le condanne hanno decimato gli eserciti in lotta, e allora bisogna trovare sostituti in grado di spacciare, raccogliere il pizzo, picchiare, minacciare e, se necessario, uccidere. L'«integrazione» multietnica della camorra è l'incubo che terrorizza gli investigatori perché il bacino a cui attingere è potenzialmente infinito. E soprattutto ha un costo assolutamente più basso dei pari grado italiani. La prova la fornisce un pentito marocchino (perché pure tra i malavitosi nordafricani ci sono improvvise prese di coscienza ogni tanto) che si chiama Yassir Atid, indagato nella maxi-operazione antidroga che tre giorni fa ha portato ad oltre sessanta arresti.

Yassir ha 26 anni, ed è nato a Kourigba. «Facevo parte del clan Giuliano», ha rivendicato davanti ai pm iniziando subito dopo a raccontare la lunga scia di sangue che ha imbrattato i vicoli del ventre cittadino. Non era un affiliato stipendiato, ma era uno dei personaggi criminali emergenti nel labirinto dei vicoli. Il padrino gli assicurava solo vitto e alloggio. E basta.

«Il clan Giuliano mi ha pagato una sola volta euro 140 per una settimana - spiega a verbale -, somma che però ho consegnato al Castellano Massimo (il suo capozona, ndr). Rinunciavo a quanto avrei dovuto percepire settimanalmente in quanto vivevo a spese del Castellano, nel senso che abitavo in una casa che mi aveva dato lui, provvedeva ad assicurarmi da mangiare la sera».

La Caritas della camorra è una bomba sociale che può mandare sottosopra l'ordine pubblico non solo nel capoluogo ma in tutta la regione. Quanti nuovi affiliati può reclutare, un gruppo camorristico, in questo modo? Dieci, cento, mille, diecimila?

«Per le mie esigenze personali mi rivolgevo al Castellano il quale mi dava tra i 5 ed i 10 euro per volta». Lo stipendio mensile medio di un camorrista napoletano è di 2mila euro al mese. Fate un po' il conto.

Come lui, ce ne sono altri. Lo spiega una donna del rione, gambizzata per aver rifiutato di rientrare nel giro. I nuovi padroni di Forcella le avevano chiesto di fare la «staffetta» coi borsoni di droga perché era esperta del settore e conosceva ogni anfratto del quartiere ma lei non li riteneva all'altezza. Negli ultimi tempi - ha raccontato ai magistrati - era stato raggiunto «un accordo che riguardava specificamente lo spaccio di cocaina, eroina, erba ed un'altra droga sintetica» nella zona di Porta Capuana. A venderla ci avrebbero pensato «alcuni ragazzi di colore» già prescelti dai trafficanti. E, come ai malviventi napoletani, pure a quelli d'importazione può capitare di fare una brutta fine. Uno di loro, che si chiamava Tahar Manai, venne ammazzato in strada con uno spettacolare agguato. Era il capo del gruppo dei tunisini e degli algerini che «operavano per conto dei Mazzarella nel mercato della Maddalena».

Si occupava prima dello spaccio di cocaina e poi del racket ai parcheggiatori abusivi, ai venditori ambulanti e alle prostitute. Ucciso come un boss, titolarono stupiti il giorno dopo i quotidiani. In fondo, lo era. E nell'ambiente se n'erano resi conto.

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