«Ci hanno definito angeli, eroi. E ora ci danno l'elemosina». Giovanni Leoni, vice presidente dell'Ordine dei medici e a capo dei camici bianchi del Veneto, non ci sta. Per lui è un'offesa ricevere un premio Covid da 300 euro a medico quando lui e i suoi colleghi sono stati in prima linea per settimana, perennemente a rischio contagio e operando in sale operatorie sauna in cui non era possibile nemmeno accendere l'aria condizionata. E allora decide di rifiutare il «risarcimento disagio» previsto dal Governo e «aggiustato» dalla Regione Veneto e dai sindacati. Soprattutto perché non condivide i criteri con cui viene assegnato. Da qui la presa di distanza dalle sigle Cgil Cisl e Uil «che rappresentano solo un 20% di medici».
«È stata pensata una divisione per teste - spiega -, uguale per tutti, anche per i dipendenti amministrativi. La motivazione originale di questi soldi era il compenso a chi ha lavorato con maschere che tolgono il respiro e camici che bloccano la traspirazione, a persone in piedi che si muovono continuamente e fanno sforzi fisici e mentali, che vivono lo stress di chi lotta per vivere, a chi ha visto tanta gente morire. E poi mi dite che va anche all'amministrativo in smart working da casa e a chi risultava in ferie? Allora tenetevi tutto».
I soldi destinati ai medici da decreto Rilancio, circa 40 milioni di euro, vengono poi gestiti e suddivisi in base a criteri stabiliti di regione in regione e concordati con i sindacati. Per ora l'unica ad aver detto ufficialmente no alla «mancetta» del governo è il Veneto ma c'è parecchio malumore tra i medici di tutte le regioni, offesi dalle briciole dopo essere stato osannati per settimane.
Leggermente migliore la situazione in Lombardia dove, oltre a una quota di 9 milioni del fondo nazionale, i medici riceveranno anche una cifra dal fondo regionale. Di fatto il compenso è di circa mille euro. «Ovviamente non si tratta di una cifra che cambia la vita a nessuno - spiega Sergio Barbieri, vice segretario Cimo medici - ma non ne vorrei fare una questione economica, non si tratta di questo. Il problema è piuttosto legato al riconoscimento professionale. Durante questa emergenza, abbiamo scoperto parecchie criticità della professione medica preesistenti rispetto al Covid. Ora che ne abbiamo consapevolezza, affrontiamole e non lasciamo che vengano nuovamente dimenticate. Non sarebbe giusto nei confronti di una categoria che ha rischiato la vita e ha sacrificato quella di tanti colleghi». Uno dei numerosi tema da affrontare - oltre al problema dei turn over e delle assicurazioni - riguarda proprio la busta paga dei medici: i camici bianchi non ricevono nemmeno i 5 euro al giorno previsti per gli infermieri come indennità di rischio biologico. «Eppure rischiamo anche noi» protesta Leoni.
A gran voce, dalle corsie degli ospedali si chiede di affrontare anche i problemi della sicurezza degli operatori sanitari, più importante di qualsiasi premio una tantum. L'ultima protesta arriva dal Cardarelli di Napoli, dove ci sono stati 11 contagi in pochi giorni e dove i pazienti sono ammassati sulle barelle in corridoio. Roba che, se il virus fosse esploso al Sud, sarebbe scoppiato un autentico disastro. «Eppure vedo molta superficialità e leggerezza nelle reazioni delle autorità competenti. Non percepisco preoccupazione, tensione costruttiva - denuncia Antonio De Palma, presidente nazionale del Nursing Up, sindacato degli infermieri italiani - Basta con le dichiarazioni di facciata.
Basta con la politica che non è seguita dalle azioni concrete. Napoli non è un'altra Italia e gli infermieri napoletani non sono operatori sanitari di un altro Paese. Il focolaio presente al momento al Cardarelli è pericoloso e va monitorato con attenzione».
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