Per entrare nel Canton Ticino avevano scelto un valico poco battuto, tra i boschi: la frontiera di Maslianico, una di quelle che di notte vengono chiuse per non fare entrare in Svizzera i ladri provenienti dall'Italia, che anche di giorno è poco frequentata e poco presidiata. Ma è un'arma a doppio taglio: le poche auto che passano si notano. Soprattutto se a bordo di un macchinone ci sono quattro uomini non più giovani: un calabrese, un fiorentino, un afgano, un iraniano. Una combriccola inconsueta che - era il 20 novembre - ha richiamato l'attenzione di una pattuglia della Finanza. I documenti erano in regola. Niente da dichiarare? «Niente», rispondono in coro i quattro. E invece in una valigia c'erano le tessere di un rompicapo che da quindici giorni fa ammattire le fiamme gialle, il pm comasco Simona De Salvo e il suo capo, il procuratore Nicola Piacente.
La tessera più vistosa, più inspiegabile, è un assegno del Credit Suiss, emesso l'8 ottobre 2018 dalla banca elvetica. La data è importante, perché dopo un anno in Svizzera gli assegni scadono. Impossibile incassarli. E l'importo era da capogiro: cento milioni di euro. E questo solleva due interrogativi: a chi viene in mente di farsi rilasciare uno cheque di un simile importo, fatto apposta per allertare gli uffici antiriciclaggio? E perchè, dopo averlo ricevuto, lo si lascia scadere, rendendolo simile a carta straccia?
I quattro vengono tutti denunciati a piede libero per riciclaggio. Il fiorentino si chiama Simone Baglioni, l'iraniano Ghazvini Ali Kharanniak, l'afgano Karim Yussufi. Baglioni è incesurato, Yussufi vive in Germania, al nome di Kharanniak risulta intestata un azienda di alimentari a Oslo, Norvegia. Il nome che fa saltare sulla sedia gli inquirenti è quello del secondo italiano: Giuseppe Zinnà, calabrese, finito nel 2004 nella retata antimafia «Decollo», condannato per narcotraffico, uscito dopo avere scontato la pena e ora - secondo quanto afferma l'Ansa - di nuovo indagato per usura.
Alla richiesta di spiegazioni sull'assegno, i quattro rispondono col silenzio. L'assegno resta in mano ai finanzieri, i quattro proseguono il loro viaggio. Ma appena tornati in Italia vanno dai loro avvocati e chiedono di fare ricorso al tribunale per farsi ridare l'assegno (cui, anche se è scaduto, pare tengano molto) e il resto del materiale sequestrato. Sono questi documenti a rendere la vicenda, se possibile, ancora più intricata: perché l'assegno sembra essere emesso a garanzia di un contratto per la vendita di BillionCoin, una delle criptovalute meno note, protagonista nell'ultimo annodi una performance pesantemente negativa. A comprare i BillionCoin sarebbero stati altri due iraniani, Mosayeb Nawkahsi e Alì Asghar Moradi, di cui però non si sa dove abitino.
Che tutta la intricata vicenda possa avere una spiegazione lecita è possibile, ma gli inquirenti non riescono a immaginarne una. Qualcosa in più si potrà capire in occasione dell'udienza del tribunale del riesame di Como, cui gli avvocati dei quattro dovranno fornire una qualche spiegazione in grado di convincere i giudici a restituire l'assegno e tutto il resto.
Nel frattempo la Procura di Como, che aveva tenuta accuratamente nascosta l'operazione, si sta interrogando su come e perché la notizia del sequestro sia stata fatta trapelare. Potrebbe essere stato un modo per mettere sull'avviso pubblicamente i complici ancora ignoti dell'intrigo e consentir loro di prendere le contromisure.
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