Consulta, l'autogol dei renziani che ha causato il buco pensioni

Durante la discussione del ricorso contro la Fornero si era profilata una scappatoia per evitare di pagare gli arretrati. Ma i filo-governativi non hanno accettato

Consulta, l'autogol dei renziani che ha causato il buco pensioni

Roma - Poteva finire diversamente alla Consulta, sulle pensioni ridotte dalla legge Fornero. Soprattutto perché nella camera di consiglio di giovedì, quando si è capito che i giudici costituzionali si stavano spaccando, è stata prospettata una terza possibilità, tra l'accoglimento pieno del ricorso e la sua bocciatura: affermare il principio costituzionale, ma solo per il futuro, non ordinando cioè il rimborso delle somme tagliate in passato.

Il gruppo filogovernativo, capeggiato da Giuliano Amato, a questo punto però si è impuntato. Voleva il no radicale ai ricorrenti e, forse per un eccesso di sicurezza, contava di portare dalla sua parte la maggioranza. Così, non ha accettato di discutere la proposta intermedia, quella che poteva salvare capra e cavoli. Scelta fatale. Per un solo voto, infatti, alla fine il fronte dei fedelissimi a Matteo Renzi è finito in minoranza, con le conseguenze preoccupanti che sappiamo. Scelta fatale soprattutto per le casse dello Stato, che ora dovranno sborsare una cifra record per gli arretrati, che si sta calcolando in circa 10 miliardi di euro.

Ecco com'è andata, secondo le indiscrezioni. Nella discussione di pochi giorni fa nel palazzo sul colle del Quirinale ha cominciato a parlare la relatrice Silvana Sciarra, che si è schierata subito per la bocciatura del taglio alle pensioni, dovuto al blocco della rivalutazione legata all'aumento dell'inflazione, secondo il decreto «Salva-Italia» del 2011 voluto dal governo Monti. E sulla sua linea si sono cominciati ad allineare anche altri giudici.

L'altro gruppo, da Amato a ai vicepresidenti Giorgio Lattanzi e Marta Cartabia, a Daria De Pretis, si è opposto con decisione. Voleva che il ricorso fosse respinto a tutti i costi e contava di imporre la sua posizione anche agli altri. Un po' il «metodo Renzi»: tutto e subito, malgrado le critiche, rischiando e senza mediazioni.

Così, quando una possibile scappatoia si è manifestata, è stata respinta senza troppi approfondimenti. La possibilità era quella di accogliere solo uno dei due quesiti del ricorso: quello che contestava il fatto che gli effetti del provvedimento diventassero «permanenti», mettendo uno stop dal 2015. Si sarebbe invece respinto l'altro, che imponeva la restituzione degli arretrati dal 2012. In questo modo, si sarebbe salvato il rispetto degli articoli 36 e 38 della Costituzione (sulla «retribuzione proporzionata» e sul «criterio di adeguatezza» delle pensioni»), ma senza provocare una voragine nei conti pubblici.

È stato a questo punto che Amato&Co, raccontano fonti ben informate, hanno deciso che no, bisognava andare al voto solo sul sì o il no, senza lasciar spazio all'ipotesi numero 3. La situazione si è radicalizzata e alla fine la decisione si è rivelata un boomerang. Tra l'altro, in tutta la discussione i giudici costituzionali non avevano ben chiaro l'impatto economico della loro decisione, a quanto sembra. I calcoli e le cifre presentate dall'Ufficio studi erano diversi e dominava l'incertezza.

Ma certo, che una sentenza a favore del ricorso avrebbe messo nei guai il governo Renzi, alle prese con un fantomatico tesoretto che sarebbe andato in fumo con un risarcimento medio di 1.800 euro per i 6 milioni di pensionati interessati, era evidente. E per fargli da scudo il gruppo dei renziani alla Consulta ha fatto autogol.

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