Cosa fa di un uomo un padre? Chiedetelo al marito dell'insegnante di Prato, rimasta incinta del suo alunno 14enne, all'uomo che ha accompagnato la moglie in Questura e che reclama un bambino non più «suo». Non chiedetegli se ha capito fino in fondo il rapporto tra sua moglie e quel ragazzino, se se n'è fatto una ragione. Non lo sapremo mai, e non ci interessa neppure. Chiedetegli piuttosto perché non ha alcuna intenzione di disconoscere il bambino. Spesso facciamo cose che sappiamo ci danneggiano, frequentiamo persone negative o luoghi pericolosi, abbiamo abitudini nefaste, per quel malsano masochismo autodistruttivo di cui ognuno di noi si nutre, a volte solo a piccole dosi. In un rapporto a due non tutto va come vorremmo, e certe cose ce le lasciamo scivolare via. Ma l'arrivo di un bambino cambia tutto, si diventa famiglia. E così tenere un figlio diventa una decisione normale. Eppure in tempi come questi assume i contorni epici di un gesto eroico, e chi se ne frega se il Dna non è d'accordo. Perché oggi su famiglia, gender e procreazione impazzano le teorie più strampalate (e pericolose). L'amore lascia il posto alle provette, si vuol fare diventare la maternità «un concetto antropologico», l'utero in affitto ha sconfitto l'autodeterminazione della donna diventando la triste eterogenesi del femminismo. L'aveva previsto Antonio Gramsci: «Venderanno la possibilità di diventare madri: daranno fecondità alle vecchie gualcite, alle guaste signore che troppo si sono divertite. La vita si distaccherà dall'anima per diventare merce da barattare», scriveva nel 1918. E così i figli diventano vittime degli egoismi dei genitori, degli amorazzi consumati di nascosto o delle alchimie di un freddo laboratorio. Orfani di normalità, prima ancora che di una identità che non è fatta solo del Dna, anzi.
La lezione che arriva dal papà di Prato è fatta di amore silenzioso. Chiamatelo quieto vivere o late biosis, vivere nascosto. Senza dare fastidio. Lontano dai riflettori e dalle aule giudiziarie. È solo lì, nel buio della normalità, che quell'uomo e suo figlio possono vivere.
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