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"Così ho portato l'amore per la Puglia nel cuore di Dior"

La direttrice creativa: "Avremmo dovuto sfilare a Lecce, il Covid ce lo ha impedito"

"Così ho portato l'amore per la Puglia nel cuore di Dior"

La sua più grande qualità sta nell'essere tanto normale quanto speciale. Maria Grazia Chiuri, 56 anni, romana de Roma con forti radici pugliesi, è innanzitutto figlia, moglie, madre, amica, sorella e cittadina italiana. È anche una delle più acclamate designer del mondo, la prima donna chiamata alla direzione creativa di Christian Dior in 73 anni di storia. Stiamo parlando di uno dei più importanti marchi del lusso mondiale, simbolo di gusto, cultura e identità nella Francia contemporanea, ma anche grandioso esempio di globalizzazione per via dei circa 7000 dipendenti di 96 diverse nazionalità sparsi ai quattro angoli della terra.

Parigi è sempre stata e sempre sarà epicentro di tutto questo e infatti Maria Grazia da quattro anni abita sulle rive della Senna dal lunedì al venerdì per poi passare tutti i fine settimana nella sua casa romana a due passi dall'altare della Patria. Insignita della Légion d'Honeur un anno fa poco dopo l'epocale sfilata della collezione cruise a Marrakesh, Madame Chiuri lo scorso 9 maggio avrebbe dovuto sfilare a Lecce, uno dei tanti eventi cancellati dalla pandemia. Proprio in questi giorni il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, le ha chiesto di fare parte del tavolo strategico per il rilancio del territorio pugliese e lei ha accettato mentre faceva le valigie per tornare al suo ufficio di Parigi dove l'aspetta un duro lavoro sul campo. Insomma, un perfetto esempio di Italiana da Esportazione come dimostra in questa intervista esclusiva.

Dove e come ha passato il lockdown?

«A Roma, con mio marito e i nostri figli, lavorando da remoto con dirigenti, membri dell'ufficio stile, sarte, modellisti, addetti alla prototipia e responsabili della comunicazione».

È vero che Dior produce molto in Italia?

«Sì, ma gli atelier sono a Parigi, per cui tutte le tele della pre-collezione che avrebbe dovuto sfilare il 9 maggio a Lecce, sono state fatte sulle rive della Senna, a casa dalle persone. Ormai ci riamo organizzati così anche per l'alta moda e il prêt à porter: non è stato facile capire i meccanismi di quello che i francesi chiamano télétravail. Ci scherzavo con i miei collaboratori: facciamo le tele in télétravail, ma non poter fare fisicamente le modifiche sui capi è stata una sofferenza. Se proprio non ero convinta mi facevo spedire i campioni e li provavo su mia figlia Rachele».

Perché aveva deciso di fare sfilare Dior a Lecce?

«Sono molto legata alla Puglia. Mio padre, che è morto giovane, era di Tricase, mia figlia è nata a Galliano del Capo e io che sono nata a Roma, vado al mare in Salento da quando ero bambina. Insomma è un territorio cui tengo molto. L'idea della collezione è partita da qui, un omaggio a questo mio legame particolare, a questa terra che ha una forte tradizione contadina pur essendo circondata da due mari. Per cui era giusto sfilare lì, mostrare cosa c'era dietro ai capi. Ho riflettuto molto su questo punto quando è scoppiato il coronavirus. Se hai un progetto in cui credi devi seguire quello che è il tuo progetto».

Cosa farà con l'alta moda, che in genere si presenta ai primi di luglio?

«Quella è un'altra sfida: stiamo iniziando solo ora sempre per un discorso di priorità. Cerchiamo di capire se possiamo comunque lavorare da casa perché è più sicuro per la salute di tutti. La prima cosa che mi sono imposta in questo periodo è fare le cose per step. Primo step capire come fare la collezione. La creatività non serve solo per creare un vestito oppure un oggetto, per l'alta moda servono nuovi tessuti, bisogna cercare trame e lavorazioni diverse. Le aziende riaprono adesso e i tempi sono più lunghi perché bisogna fare i turni per il distanziamento di sicurezza. Quindi la parte creativa diventa tutto».

L'alta moda prevede almeno due prove in atelier, si potrà mai vendere on line?

«Assolutamente no, ma su questo noi siamo facilitati avendo negozi e filiali in tutto il mondo si può pensare di spedire la couture e di fare degli appuntamenti in boutique oppure a casa dei clienti con una persona di riferimento. Dior è un'azienda francese, ma con una forte presenza internazionale fin dall'inizio della sua storia».

E i famosi viaggi di promozione del brand, per esempio la tappa cinese della mostra sui 70 anni di Dior?

«Quello è un progetto cui stiamo lavorando da tanto e abbiamo continuato a farlo Zoom. Eravamo già molto avanti prima del lockdown, per cui se le cose continuano così la tappa cinese della mostra Dior Designer of Dreams sarà dal 28 luglio al 4 ottobre al Long Museum West Bund di Shanghai. Sarà una cosa speciale come del resto è stata la tappa al Victoria & Albert Museum dopo la grande esposizione a Parigi».

Conosce qualcuno che si è ammalato?

«Purtroppo sì, anche qualcuno che disgraziatamente è morto. Non credo che siamo usciti dall'emergenza, dobbiamo vivere una nuova realtà. Credo sia rispettoso verso la comunità avere uno stile di vita prudente per se stessi e per gli altri: eviterei quello che non è strettamente necessario».

La cosa che le è mancata di più?

«La libertà di fare un bagno al mare. Ma questo è niente rispetto al dispiacere immenso per quello che è successo».

Si è aperto un gran dibattito sul futuro della moda, lei che ne pensa?

«Io credo che la moda come sistema possa avere un'influenza etica su tutto il mondo. In questi mesi di chiusura ho riflettuto molto per quanto mi riguarda. Capisco la necessità di ripensarci come sistema anche perché siamo davanti a un fatto concreto come la pandemia, ma dobbiamo anche vedere il valore di questo sistema e capire come farlo evolvere in modo positivo. Mi è piaciuto vedere che tutte le aziende hanno reagito e si sono messe al servizio della comunità. La moda ha avuto una capacità reattiva incredibile. Troppo spesso dimentichiamo l'aspetto industriale del nostro settore che ha un valore immenso».

Eppure il governo italiano ha parlato di tutte le aziende tranne di quelle della moda...

«Secondo me è molto importante che l'Italia capisca il valore di questo settore. Dopo il turismo da noi c'è la moda che dovrebbe anche essere quel che è da sempre in Francia: un fatto culturale. Detto questo, credo che le persone per bene siano per bene al di là delle situazioni e lo stesso discorso vale per i furbi. L'essere umano è fatto così. Quindi di sicuro qualcuno avrà trovato il modo di sfruttare questa tragedia, ma sicuramente finora il mondo della moda ha mostrato un lato positivo.

Speriamo continui».

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