Ci sono un paio di date che Stefania Craxi non ha dimenticato: il 2 febbraio e il 6 maggio del 1993, anno secondo di Mani pulite ma anche momento difficile, drammatico, spartiacque della nostra democrazia. «Quelle date rimandano a Giorgio Napolitano, allora presidente della Camera».
Perché chiama in causa il Quirinale?
«Perché il tempo è galantuomo. E purtroppo le scorciatoie, i cedimenti a un clima giustizialista, la rottura delle regole sono elementi che poi tornano fuori».
Un attimo, torniamo al '93 e a Napolitano terza carica dello Stato.
«Appunto. Il 2 febbraio '93 la procura di Milano manda le Fiamme gialle a Montecitorio per sequestrare i bilanci dei partiti».
Che erano falsi. O sbaglio?
«Ma certo. Se è per questo erano anche pubblici. Napolitano avrebbe dovuto tenere il punto. Invece fece entrare i militari, senza fiatare. Fu una profanazione, uno sfregio alle istituzioni, è inutile girarci intorno. I De Magistris di oggi sono figli di quel clima avvelenato: quando fai uscire il genio dalla lampada, poi può succedere di tutto. Esattamente come sta accadendo di questi tempi».
I reati però c'erano e suo padre Bettino era al centro di molte inchieste.
«Nessuno vuol negare quella realtà che però era condivisa da tutti. Invece le inchieste colpirono in modo chirurgico: qualcuno sì, qualcun altro no. I socialisti e i democristiani non di sinistra furono sterminati; gli altri no».
A Milano furono colpiti anche i miglioristi del Pci-Pds appartenenti alla corrente che faceva capo proprio a Napolitano.
«Sì, è vero, furono decimati dalle indagini in Lombardia. Ma a Napoli accadde poco o nulla. Anzi no, qualcosa successe: Napolitano fu indagato in gran segreto per le tangenti sulla metropolitana di Napoli e poi rapidamente archiviato».
De Magistris allude a qualcosa che non è stato rivelato?
«Chiedetelo a lui. Io mi limito a fare mio l'appello che mio padre lanciò e che ora torna d'attualità perché è contenuto nel libro di papà appena pubblicato da Mondadori Io parlo, e continuerò a parlare ».
Stefania Craxi apre il volume e legge il capitolo dedicato a Napolitano. Righe taglienti: «Di fronte a una commissione d'inchiesta parlamentare sul sistema di finanziamento illegale dei partiti e della politica, Giorgio Napolitano sarebbe un testimone di primo piano... Insomma, l'onorevole Napolitano non dovrebbe dare prova di avere la memoria corta. Infatti chi non ce l'ha ricorda bene che l'onorevole Napolitano è stato per anni il responsabile delle relazioni internazionali del Pci. In questa veste non poteva non sapere».
Napolitano cosa dovrebbe fare?
«Autocritica. E poi raccontare quel che sa. La divisione manichea fra buoni e cattivi non funziona, anche se sono passati vent'anni. Però, ripeto, le storture di allora ce le portiamo dietro anche oggi».
In definitiva quali sarebbero le responsabilità politiche di Napolitano?
«Il suo nome torna in diversi momenti cruciali».
Il 2 febbraio '93. E poi?
«Il 6 maggio di quell'anno il presidente della Camera annunciò una rivoluzione clamorosa. Spiegò che da quel giorno il voto per le autorizzazioni a procedere fino a quel momento tradizionalmente a scrutinio segreto, sarebbe avvenuto alla luce del sole».
Che cosa accadde?
«Quello fu il colpo di grazia a chi si opponeva all'alta marea, a chi non voleva uniformarsi ala mentalità dominante e alla caccia alle streghe generale. Combinazione, sa cosa si doveva decidere in quei giorni in giunta?»
Ci aiuti.
«Si doveva deliberare sulla seconda richiesta di autorizzazione a procedere contro mio padre. Quella mossa chiuse la partita. Ma Napolitano avallò anche l'azione di scardinamento istituzionale compiuta dalla commissione Antimafia presieduta da quel Luciano Violante che oggi, incredibilmente, è candidato unico e inamovibile del Pd per la Consulta».
Conclusione?
«Chi la fa l'aspetti».
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