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Una denuncia non cancella il diritto all'accoglienza

Una denuncia non cancella il diritto all'accoglienza

Ecco un'altra follia che proviene dai nostri tribunali. Non basta nemmeno una denuncia per aggressione per far sì che un migrante venga mandato via per sempre da un centro di accoglienza. Costretto a dormire per strada è stato poi riammesso, nella casa famiglia che lo ospitava, dal Tar della Toscana che ha ribaltato la decisione della prefettura di Firenze e stabilito che una denuncia non è sufficiente a far perdere il diritto all'assistenza. La vicenda, riferita da Repubblica, finita al centro di una battaglia giudiziaria tra ministero dell'Interno e giudici amministrativi, riguarda questo migrante di 20 anni, arrivato in Italia dalla Costa d'Avorio e ospitato in un centro di accoglienza della Diaconia valdese a Figline Valdarno (Fi).

I fatti risalgono al giugno 2019. Il giovane è al binario della stazione ferroviaria di Incisa Valdarno quando assiste a una discussione tra un controllore di Trenitalia e un gruppo di cittadini extracomunitari, trovati senza biglietto. Tra di loro nasce una rissa, e pare che il ventenne sia intervenuto per placare gli animi. Ma quando in aiuto del controllore arrivano due agenti della polizia municipale liberi dal servizio, l'ivoriano finisce nel verbale dei vigili, identificato come uno dei violenti. Così il giovane viene denunciato per i reati di violenza o minacce e resistenza a pubblico ufficiale, per un'aggressione alla quale lui nega di aver partecipato. Tre mesi dopo, il 23 settembre, il ragazzo riceve una lettera dalla prefettura di Firenze: per il suo comportamento «in evidente contrasto con le basilari regole del vivere civile», gli viene revocato il diritto all'accoglienza.

Contro il provvedimento viene presentato un ricorso al Tar degli avvocati Amelia Vetrone e Carlo Ambrogi. E il Tar dà loro ragione: una semplice denuncia, sostengono i giudici, non rende automaticamente colpevole il giovane. «Non esiste una responsabilità presunta - si legge nella sentenza -. Essa deve essere accertata mediante i gradi di giudizio necessari. Revocare le misure di assistenza sulla base di una valutazione presuntiva (e non di fatto o accertata dal diritto), significherebbe anticipare la condanna e la pena (perdita della propria dignità)».

Secondo il Tar il giudizio della prefettura sarebbe stato «frettoloso e sommario", dato che «se esiste un procedimento, esso è in fase di indagine, e potrebbe anche essere archiviato».

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