"Disinformazione nel dna di Mosca. Agenti e volontari seminano il caos"

Il docente di tecniche di comunicazione Dario Fertilio: nessun Paese ha un sistema così esteso per imporre all'avversario il proprio linguaggio

"Disinformazione nel dna di Mosca. Agenti e volontari seminano il caos"

"La disinformazione è innata, fa parte del dna della potenza sovietica". Non ha dubbi Dario Fertilio, docente di Teoria e tecniche della comunicazione giornalistica all’Università Statale di Milano, che ha scritto alcuni saggi sulle fake news e mette in guardia tutti su quelle che definisce le "notizie del diavolo".

In questi giorni stanno uscendo parecchie fake news sulla guerra in Ucraina. Cosa ne pensa?

"La disinformazione è una tecnica nata all’inizio dei tempi e sempre utilizzata dai poteri militari, economici e religiosi. Certamente la rete di disinformazione sovietica è storicamente la più importante e si rifà alla creazione dell’ufficio di disinformazione all’interno del Kgb. La disinformazione è innata, fa parte del dna della potenza sovietica. Gli altri stati hanno messo in atto un sistema di disinformazione concorrente, certamente abile ed efficace ma lontano dall’estensione e dalla tradizione messa in campo dai sovietici e poi dai loro odierni eredi putiniani".

Che differenze ci sono tra la disinformazione occidentale e quella russa?

"In generale la disinformazione militare occidentale punta sulla denuncia dei fatti, il fact-checking, quella russa, invece, utilizza un sistema molto più allargato, chiamato “dead hand” (mano morta), o in russo “sistema perimetrale”. Il regime attraverso una rete ad hoc prende in esame tutte le informazioni e ad ognuna di esse applica le tecniche di disinformazione. Accanto a questa c’è anche una rete perimetrale, più estesa, formata da volontari (alcuni pagati, ma non tutti), che entrano in azione quando vi siano le necessità".

Si può parlare anche di due strategie diverse?

"Sì, la Russia punta sulla confusione e sul creare disordine. Continua a cambiare piani, prima dice che è pronto l’attacco, poi dice che è disposta a trattare. Poi afferma che lo scopo è la smilitarizzazione dell’Ucraina, o allontanare la giunta corrotta. Lo scopo vero è confondere il nemico, affermando cose diverse e creando confusione e panico tra i cittadini, i giornalisti e ovviamente gli avversari. Metodi usato anche da Gheddafi, quando da un lato si diceva pacifista e poi organizzava attentati. Gli Stati Uniti, invece, fin dall’inizio hanno puntato tutto sulla denuncia dei fatti in loro possesso. In questo modo hanno fatto uscire la data precisa dell’attacco, costringendo i russi a rivedere sempre i loro piani per non essere scoperti. Dall’altro lato Mosca ha avuto buon gioco rispondendo che, finché non vi era stato l’attacco, quelle americane erano solo fake news".

Cosa si può dire delle parole utilizzate da Putin nel suo famoso discorso di entrata in guerra?

"Per certi versi si può parlare di una regressione verbale e psicologica, tornando a un linguaggio sovietico. Ha fatto riferimento ad un governo (quello ucraino, ndr) di corrotti, drogati e nazisti, secondo una tecnica tipica del leninismo, tesa a delegittimare e distruggere l’avversario. Non sappiamo quanto questa scelta sia voluta o meno. Potrebbe anche essere funzionale al desiderio di galvanizzare i nostalgici della vecchia Urss oppure i Naz-Bol (nazisti-bolscevichi), una fascia ideologica che si riconosce nel totalitarismo, con il culto del populismo russo di stampo nazi comunista. Un altro aspetto sottile della disinformazione è la logomachia, cioè l’imporre all’avversario il proprio linguaggio".

Ci può fare un esempio?

"Riflettiamo su questo: oggi molti continuano a parlare di crisi ucraina, invece è un’invasione vera e propria. In pratica questa visione della crisi è stata imposta dai russi agli occidentali, che se la sono tenuta senza neanche pensarci troppo. Sicuramente ha influito moltissimo l’impreparazione degli Usa e di Biden di fronte a ciò che sta accadendo".

Come giudica la risposta di Biden?

"Il suo discorso, mirato solo sulle sanzioni (altrimenti scoppierà la terza guerra mondiale) è da perdente. La terza guerra mondiale, come più volte ha ricordato Papa Francesco, è scoppiata da anni. Come facciamo a pensare di non essere in guerra se potenze occidentali quali Francia e Germania stanno mandando armi all’Ucraina? È una grave cecità politica, che in tedesco si chiama “schreckbild”, l’immagine dell’orrore. Quasi tutti i giornalisti usano frasi di questo tipo: non voglio neanche pensare alla possibilità di uno sviluppo di una guerra. Ma è ciò che sta già accadendo. Il loro è un rifiuto della realtà, un rifiuto di ciò che fa paura ma che, purtroppo, sta già avvenendo".

I giornalisti sono il target della disinformazione, sono loro i primi obiettivi da colpire, ovviamente per portare a compimento la disinformazione. Che cosa può fare un giornalista per parare i colpi?

"A mio avviso deve tenere presente le caratteristiche della disinformazione delle due parti in conflitto. Poi separare bene l’aspetto emotivo. Faccio un esempio: non è ancora chiaro se la città di Karkiv sia stata presa dai russi o meno o se si stia combattendo. Prima di scrivere una cosa o l’altra è bene attendere, mi sembra il minimo. E fare sempre attenzione a non concentrare tutta l’attenzione su un fatto per nasconderne altri, creando un pericoloso effetto polverone. Vede, aumentare il numero di informazioni a dismisura per rendere impossibile districarsi ai giornalisti è una tecnica ben consolidata di disinformazione".

E un lettore quali strumenti può avere per non farsi fregare dalla disinformazione, che lei in un libro chiama “le notizie del diavolo?”

"Purtroppo le notizie del diavolo penetrano dentro tutti noi. La nostra stessa ideologia ci fa scartare le notizie a noi più sgradite. Occorre quindi prima di tutto un lavoro personale da fare su se stessi. Ad esempio possiamo mettere a frutto ciò che è avvenuto con la pandemia".

A cosa si riferisce?

"La disinformazione è andata avanti a piene mani. La famosa campagna “From Russia with love”, l’operazione umanitaria dei russi nel nostro Paese, seguita anche da quella della Cina e di Cuba, altro non era che il tentativo di verificare come un paese, giudicato anello debole della Nato, avrebbe reagito di fronte all’emergenza. Abbiamo già visto all’opera la disinformazione, quando si voleva cercare di capire come si cerca di manipolare l’opinione pubblica attraverso un flusso continuo di informazione contraddittorie o mono direzionali".

Un giornalista che lavora in una redazione e riceve migliaia di lanci di agenzia ogni giorno, a cosa deve/può credere? Solo ai corrispondenti/inviati sul campo?

"Naturalmente non è così. L’inviato di guerra ha una visione limitata delle cose, anche se importantissima. Nulla è più irritante, per chi guarda un tg o un approfondimento, che vedere degli esperti che discettano di guerra lontani dal campo di battaglia, ma questo non vuol dire che solo chi è in prima linea possa fare giornalismo o analisi, avendo una visione d’insieme. La prima cosa è la preparazione singola di ciascun giornalista: occorrerebbe, a mio avviso, aver studiato i manuali della disinformazione. Pensi che l’Occidente ha messo in atto, al tempo della pandemia, un sistema teso a far desiderare ai cittadini meno la libertà, in cambio della protezione della salute. Tornando ai giornalisti presenti sul campo, bisogna anche tenere conto del fatto che, spesso, sono tenuti a doversi relazionare con le fonti ufficiali, e non possono essere troppo svincolati e liberi in relazione a esigenze pratiche, come ad esempio i visti e i rapporti, diciamo così, diplomatici. Questo rischio lo corrono soprattutto i corrispondenti".

Nella sua riflessione è molto critico nei confronti dell’Occidente?

"Sì, purtroppo ritengo che abbia smarrito il senso di chi è e dove sta andando. Ciò coinvolge il senso della vita, della famiglia, della moltiplicazione infinita dei diritti".

Come arginare il rischio di pubblicare l’eventuale disinformazione dei russi e quella degli ucraini, facendo da megafono alla propaganda? Anche questo, del resto, è uno strumento di guerra...

"Si potrebbero almeno mettere in atto le tre griglie fondamentali, distinguendo la propaganda bianca, quella nera e quella grigia. Mi spiego meglio facendo qualche esempio. La prima, la propaganda bianca, è quella che apertamente afferma i propri scopi: ad esempio, i russi intervengono per difendere la propria integrità. La propaganda nera, invece, mente sui propri fini, afferma una cosa per farne credere un’altra, dirigendo altrove il pubblico. Esempio: la guerra viene fatta per liberare l’Ucraina dai nazisti. Infine c’è la propaganda grigia: di questa non si capisce bene la matrice, come ad esempio la presenza di armi ibride sul campo, che non è verificabile. Ma, se mi consente, sul caso Ucraina c’è anche un altro aspetto clamoroso…

Dica pure…

"Un racconto che viene fatto, spesso, è che Putin abbia risposto a un’espansione a Est della Nato. Ma nulla si dice sull’espansione a Ovest della Russia, a partire ad esempio dalla Crimea, ma non solo. Si tenga conto che i missili schierati in Bielorussia sono al confine con la Polonia, quindi del territorio Nato. La spinta verso Est è controbilanciata dalla spinta verso Ovest".

I social network hanno aumentato a dismisura il propagarsi delle fake news. Cosa ne pensa?

"Questo fa parte della logica della piazza. I social non sono altro che una piazza in cui tutti si ritrovano e discutono. Non c’è da stupirsi di questo. Purtroppo chi frequenta la piazza, specie se non ha un’adeguata preparazione, può essere influenzato. Ma è sufficiente andare a vedere i siti per toccare con mano quanta propaganda venga messa in circolo, non solo sui social. Del resto la propaganda filorussa, nazicomunista, piace all’estrema destra e all’estrema sinistra".

Cosa suggerirebbe a un giovane che volesse informarsi nel modo più corretto e indipendente possibile su questa guerra in Ucraina?

"Io continuo a credere nel valore della stampa libera. È necessario consultare diversi giornali e libri, rimane questa la difesa migliore della libertà, attivando gli anticorpi in grado di combattere i virus totalitari che sono in giro, non solo quello nazi comunista, ma anche quelli mass-radicali che hanno un’egemonia sull’Occidente".

In che modo agisce questo ultimo virus che ha indicato?

"La manipolazione dell’essere umano, dalla culla alla tomba, la proliferazione a dismisura dei diritti, con l’inevitabile conseguenza che, diventando un numero infinito, di fatto non si possono più tutelare tutti. E quindi sa cosa succede?"

Me lo dica...



"Serve un buon capo che dica “questo sì e questo no”. Prevale l’uomo forte che decide per tutti che cosa è giusto e meritevole di tutela e cosa invece non lo è. Questa, come si può ben capire, è la tomba della libertà".

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