Italia sempre più lenta e in affanno, come se uscisse da una guerra. «Il nostro è l'unico Paese Ocse con una crescita negativa del reddito dal 2000 in poi. Su questo siamo comparabili a Paesi che hanno avuto la guerra senza avere avuto la guerra». È un giudizio duro quello dell'economista Andrea Garnero, che commenta così l'ultima relazione dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico per la quale lavora nel dipartimento del Lavoro. «Purtroppo non è crescendo a colpi di zero-virgola che si cambia qualcosa. -afferma Garnero- E se l'economia ristagna è difficile creare lavoro».
E sempre secondo l'Ocse non sarà il reddito di cittadinanza a dare una spinta all'economia del nostro Paese. Il principio è giusto ma il diavolo sta nei dettagli nel senso che il modo in cui l'assegno di sostegno è stato strutturato rischia paradossalmente di imporre una ulteriore frenata a un mercato del lavoro già in apnea. Se è vero che il reddito di cittadinanza rappresenta un trasferimento di risorse importante verso le persone in condizioni di povertà è altrettanto vero che il livello attuale del sussidio è troppo alto rispetto ai redditi mediani italiani e anche nel paragone con strumenti simili negli altri paesi. Dunque la sua attuazione dovrà essere monitorata attentamente per verificare che avvenga effetivamente l'auspicato ingresso nel mondo del lavoro. L'alto livello del reddito collide con la realtà italiana dove la quota di lavoro temporaneo è superiore alla media Ocse ed è cresciuta notevolmente nell'ultimo decennio. Dunque sono tantissimi i lavoratori sotto occupati, addirittura raddoppiati rispetto al 2006. Così si verifica una situazione paradossale: ci sono persone che pur lavorando percepiscono cifre inferiori al reddito di cittadinanza. Dunque non saranno sicuramente incentivate a vedere ridotto il proprio introito pur di lavorare. L'impianto generale del reddito poi finisce per sfavorire le famiglie rispetto ai single, mentre dovrebbe essere il contrario. «Si è partiti dalla cifra per i single e poi il budget disponibile è stato diviso tra gli altri», osserva l'Ocse.
E ancora tra le mancanze del nostro sistema la carenza della formazione permanente. Solo il 20,1 degli adulti in Italia ha partecipato a programmi di formazione professionale nel corso dell'ultimo anno. Inoltre, solo il 60 per cento delle imprese (con almeno 10 dipendenti) offre formazione continua ai propri dipendenti, contro una media europea Ocse del 75,2.
Il quadro che emerge è sconfortante: disoccupazione a livelli record; moltissimi sottoccupati; aumento dei contratti atipici e dell'instabilità del lavoro; salari sempre più esigui anche per diplomati e laureati. Infine i più penalizzati sono sempre i giovani.
È più difficile avere accesso alla protezione sociale per i lavoratori autonomi o per i dipendenti con periodi contributivi intermittenti. Ricevere un sostegno al reddito è più improbabile per un lavoratore autonomo al momento senza attività in confronto a un lavoratore dipendente con un contratto a tempo indeterminato che si trovi nella stessa situazione socio-economica. Per il primo si parla del 10 per cento per il secondo del 50.
L'Ocse infine segnala che l'occupazione risale in tutta l'area al 68,6 mentre in Italia è ferma al 58,6.
Il progresso tecnologico al momento mette a rischio il 15,2% dei posti di lavoro in Italia, appena la di sopra della media Ocse. Un altro 35,5 per cento di lavoratori si potrebbe vedere costretto a subire cambiamenti radicali. Il posto di lavoro resta ma con mansioni molto diverse da quelle attuali.
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