Ecco che cosa rischia l'Italia con le sanzioni contro Mosca

In gioco 7,8 miliardi di interscambio, moda e turismo in allarme. E pure a tavola potrebbe esserci la stangata

Ecco che cosa rischia l'Italia con le sanzioni contro Mosca

Mosca-Kiev-Bruxelles: un triangolo così, non l'avevano considerato. E invece, siamo al déjà vu. Come ai tempi della Crimea, scattano le sanzioni contro lo zar Putin e subito si comincia a far la conta dei possibili danni. Che potrebbero essere anche più ingenti. Sia chiaro a spingerci a intervenire sono la logica (e l'equilibrio) dei rapporti internazionali nel tentativo di evitare le armi, ma il quadro economico è pesante.

Da Artemide a Zuegg, sono circa 200 le imprese italiane in affari con la Russia, un plotone che ha in parte contribuito l'anno scorso ai 7,6 miliardi di euro di interscambio con Mosca. Scollinata la fase più acuta del Covid, le esportazioni avevano registrato un rimbalzo dell'8,8%, ancora non sufficiente a compensare i livelli pre-pandemici, ma comunque di buon auspicio. Ora, i venti di guerra che soffiano da Oriente rimescolano le carte senza che l'Italia abbia assi nella manica da calare su tavolo. La dipendenza dal petrolio (12%) e gas (43%) russi (da cui derivano i 5,6 miliardi di disavanzo commerciale), nonché dal grano ucraino (importazioni annue pari a 120 milioni di chili), ci rende uno degli anelli più deboli della catena europea. Ursula von der Leyen promette di affrancarci da questa dipendenza, ma ci vorrà tempo. Intanto, la catena rischia di spezzarsi se gli elevati rincari dei prodotti energetici, che già mettono a dura prova le tasche delle famiglie, la tenuta dei bilanci delle imprese e la quadratura dei conti pubblici, esploderanno in caso di conflitto.

La storia insegna che gli Stato Uniti, dopo l'annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014, furono gli unici a guadagnarci in seguito alle ritorsioni economiche imposte a Mosca. Un tesoretto di 300 milioni di dollari sotto forma di un maggior boost all'interscambio commerciale. L'Italia lasciò invece subito sul campo 3,5 miliardi, con un crollo delle esportazioni dai 15 miliardi del 2013 ai sette del 2017.

È vero: alla fine, il peso delle misure punitive ricadde proprio sulla Russia, con oltre 38 miliardi andati in fumo. Ma su questa cifra va fatta la tara. Come ricorda un'analisi dell'Ispi, l'export Ue verso Mosca calò dai 160 miliardi di euro nel 2013 ai 79 del 2016. Tuttavia, questo deficit di 80 miliardi potrebbe essere imputabile, più che alle sanzioni, alla perdita di potere d'acquisto provocata dalla picchiata delle quotazioni di greggio e metano. Rispetto ad allora, siamo a un rovesciamento delle posizioni di forza: con i prezzi del gas quintuplicati in pochi mesi e con quelli del petrolio che puntano i 120 dollari il barile, Putin non appare attaccabile sul versante economico. Non solo perché le entrate derivanti dall'energia coprono già oltre il 40% del bilancio federale, ma anche perché può difendersi con un altro scudo: gli oltre 630 miliardi di dollari di riserve valutarie, un ammontare 5 volte superiore allo stock di cui poteva disporre durante la crisi di otto anni fa.

A pagare il prezzo più salato della crisi potremmo quindi essere noi. Anche a tavola. Con l'invasione dell'Ucraina, la nostra dieta mediterranea sarebbe messa a rischio dalla vorticosa lievitazione dei prezzi dei cereali - grano, mais e soia - ma anche degli oli da cucina. Guai immediati si profilano per il turismo, con l'associazione di categoria preoccupata delle presenze che sfumeranno il 24 aprile per la Pasqua ortodossa, che solitamente genera in Italia 175mila pernottamenti di turisti russi e quasi 20 milioni di fatturato per le attività ricettive.

E se identiche preoccupazioni arrivano dalla Confindustria Alberghi, dalla Confartigianato Sardegna e dall'agrifood dell'Emilia-Romagna, a tremare sono soprattutto i produttori di macchinari, i più colpiti (oltre due miliardi di esportazioni in meno all'anno) dalle precedenti sanzioni, assieme a comparti come la moda, i mobili, le calzature e l'abbigliamento (-400 milioni). Se scoppia la pace, per qualcuno è meglio che per altri.

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