Bagarre al tavolo Ilva. Il vertice che avrebbe dovuto far dimenticare la crisi politica - tutta targata Pd - consumatasi nelle ultime settimane tra gli enti locali tarantini e il governo si è trasformato in un nuovo braccio di ferro. Regione Puglia e Comune di Taranto non hanno ritirato il ricorso contro il decreto ambientale del governo e l'esecutivo, che ha allargato il tavolo istituzionale agli enti locali, non ci sta più: «Con la causa in corso, l'Ilva va all'aria». Tutti di nuovo in trincea, dunque, con il risultato che l'intero polo siderurgico potrebbe chiudere i battenti entro il 9 gennaio. A rischiare di finire sul baratro - mentre il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, dichiara lo stop al dialogo e il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, lo accusa di «reazioni isteriche» - sono migliaia di dipendenti, aziende collegate e il futuro della siderurgia italiana.
Numeri alla mano si giocano il posto di lavoro oltre 17.500 persone: 9.930 dipendenti Ilva, che la cordata AmInvestco punta a salvare con l'acquisizione (su un totale di 14.200 addetti) e 7.600 lavoratori dell'indotto in forza in 340 imprese collegate. A livello finanziario, poi, ad andare in fumo sarebbero quasi 4,2 miliardi: 2,3 miliardi tra investimenti industriali e ambientali, più altri 1,8 miliardi messi sul piatto da AmInvestco per rilevare il gruppo. Una cifra a cui vanno sommati i circa 180 milioni che, secondo Confindustria, l'Ilva deve ancora pagare alle aziende collegate.
Una situazione molto delicata che ha acceso gli animi. «Se non verrà ritirato il ricorso al Tar contro il Dpcm che contiene il Piano ambientale», ha sottolineato il ministro al termine del tavolo cui erano presenti anche i sindacati, «l'investimento della cordata guidata da Arcelor Mittal potrebbe saltare». Per Calenda, infatti, non basta il ritiro della misura cautelare promesso dagli enti. Il fatto che resti in piedi il giudizio di merito vorrebbe dire avere «una spada di Damocle di almeno 2 anni e mezzo sull'Ilva. Questo - ha aggiunto Calenda - aprirebbe uno scenario nuovo con la richiesta di un addendum contrattuale da parte di Arcelor Mittal, che chiederebbe allo Stato una garanzia di oltre 2,2 miliardi» nel caso di vittoria dei ricorrenti. «E io - ha incalzato - non posso buttare i soldi dello Stato. Mi fermo qui. Poi ognuno si assumerà le sue responsabilità». Se, infatti, al momento Arcelor Mittal può abbandonare la partita Ilva senza che il governo si accolli penali o cause contrattuali un dietrofront successivo, e legato magari al ricorso, potrebbe costare caro al Paese.
Inamovibile Emiliano nonostante lo stanziamento del governo di 40 milioni per le prime bonifiche ambientali a Taranto - secondo cui quella di Calenda «è stata una sceneggiata, una crisi di «nervi dopo uno scambio di messaggi al tavolo con il ministro per la Coesione territoriale, Claudio De Vincenti». Per il governatore il tavolo può andare avanti anche senza di lui visto che è un ministro pro tempore e fa solo da mediatore e la minaccia di chiudere l'Ilva è una stupidaggine». De Vincenti, sia Calenda, hanno subito risposto parlando di «dichiarazioni scomposte da parte del governatore». Un clima surreale che ha messo in forse il vertice atteso domani con i sindacati. Una partita tutta interna al governo, e al Pd, che suona come un autogol, a pochi mesi dalle elezioni, e che potrebbe vanificare il recente coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti. Tirata per la giacchetta, la Cdp entrerà nella cordata al fianco dei francoindiani di Arcelor Mittal, e in sostituzione del gruppo Marcegaglia, per ottenere il via libera Ue all'operazione.
Se la crisi Emiliano-Calenda non dovesse rientrare, però, sarà stato tutto inutile. E il nuovo governo - che già rischia di ereditare la partita Alitalia - si troverà alle prese con una crisi occupazionale e industriale senza precedenti.
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