Fermi a un metro dal baratro. È una vittoria del buonsenso

Ma questo finale non può far dimenticare la colpevole leggerezza di Puigdemont e di tutti i dirigenti catalani

Fermi a un metro dal baratro. È una vittoria del buonsenso

Meglio, molto meglio, fermarsi a un passo dal precipizio. Ma un tardivo momento di resipiscenza non può far dimenticare la colpevole leggerezza con cui Carles Puigdemont e il suo gruppo di ultrà dell'indipendentismo catalano si sono fin qui mossi. Uno storico australiano, Christopher Clark, è diventato famoso qualche anno fa per un libro sulle origini della prima guerra mondiale. Il titolo, I sonnambuli, spiegava già tutto: come automi immersi in un sonno profondo, i governanti dell'Europa di allora si inoltrarono senza badare alle possibili conseguenze lungo la strada che portò al conflitto. Ognuno fece quello che doveva fare, un passo alla volta, senza strappi e rivendicando le proprie buone ragioni. Il risultato fu catastrofico.

Non siamo fortunatamente a quel punto, ma il modello di comportamento è stato identico. Puigdemont si è inerpicato lungo un sentiero scosceso che corre sul ciglio di un burrone con lo stesso atteggiamento con cui si va a prendere il caffé al mare, in bermuda e infradito. Non aveva tenuto conto della Costituzione spagnola, ma nemmeno delle norme europee che rendono di fatto impossibile, almeno in un primo momento, la partecipazione di una Catalogna indipendente all'Unione di Bruxelles. Da questa prima sbadataggine ricadevano una serie di conseguenze. Prima di tutto il fatto che le banche (e indirettamente le imprese catalane) avrebbero perso l'ombrello protettivo della Banca centrale di Francoforte. Un disastro. E non è un caso che tutti gli istituti di credito che hanno fatto la storia della Catalogna siano scappati a gambe levate vista la mala parata. E quello economico è solo uno degli aspetti della questione indipendentista che ci si era «dimenticati» di affrontare. Sonnambulo, va detto, è stato anche Mariano Rajoy: la burocratica cecità con cui si è retrocesso il referendum a problema di ordine pubblico, grida vendetta. Ma le colpe di Madrid non cancellano quelle di Barcellona. Nel nome di un sentimento profondo, come l'identità patria, in questo caso coincidente con quella catalana, si può sopportare ogni sacrificio. A condizione naturalmente di volerlo. Ma il bello è che sulle intenzioni del popolo catalano i dubbi sono più che legittimi. Mai in nessuna elezione politica i partiti indipendentisti sono arrivati al 50% dei voti, mai in nessuno dei (più o meno ufficiali) referendum che la Generalitat ha fatto celebrare negli ultimi anni la maggioranza dei catalani ha pronunciato un sì chiaro alle proposte di indipendenza. Eppure si è andati avanti sulla strada dello strappo. Era la strada che rispondeva alle convinzioni del movimento catalanista, certo. Ma anche quella che garantiva i maggiori dividendi politici al gruppo dirigente che governa a Barcellona.

Forse, semplicemente, era la via più diretta da seguire, quella che rispondeva all'emozione e non all'intelligenza, meno complicata di lunghi e faticosi negoziati in cui si tenesse conto delle sottigliezze di cui è fatta la vita sociale, politica ed economica di una società moderna.

Viene in mente un vecchio adagio della vita parlamentare americana: «Per ogni problema politico complesso c'è una soluzione facile, immediata e del tutto ovvia. Purtroppo è sbagliata». Puigdemont e i suoi non ne hanno tenuto conto.

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