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Hong Kong, la Cina fa piazza pulita. In manette anche il magnate ribelle

Nemmeno la cauzione libera Jimmy Lai. E ora rischia grosso

Hong Kong, la Cina fa piazza pulita. In manette anche il magnate ribelle

Mercoledì Joshua Wong e i suoi coraggiosi giovani compagni di resistenza politica, ieri Jimmy Lai al quale fama e ricchezza non sono bastati per sfuggire alla sua sorte: li ha seguiti in carcere dopo che gli è stata negata la libertà su cauzione. Il regime comunista cinese schiaccia sull'acceleratore della repressione e manda in galera i volti più noti dell'opposizione di Hong Kong. Il tutto in nome della sicurezza nazionale: cinese, naturalmente, perché se fosse per la larga maggioranza dei cittadini della ex colonia britannica Wong e tutti gli altri entrerebbero trionfalmente in Parlamento e avrebbero i numeri per formare un governo democratico: le manifestazioni di opposizione dell'anno scorso al potere di fatto del partito comunista cinese in città avevano visto la partecipazione di oltre un milione di persone. Ma è proprio per impedire che questo accada che stiamo assistendo al triste spettacolo delle carceri che si aprono per inghiottire i combattenti per la libertà. E purtroppo in Occidente si fa poco o niente contro questa infamia.

Ieri, come si anticipava, è stato il turno di Jimmy Lai. Il settantunenne imprenditore e attivista politico, proprietario del tabloid Apple Daily ostile al regime di Pechino, era comparso in tribunale sotto l'accusa di frode e dovrà attendere per oltre quattro mesi in prigione la prossima udienza del suo processo, che è stata fissata nel prossimo aprile: un sistema «legale» per metterlo fuori circolazione ancor prima di condannarlo, come certamente accadrà in base a un ovvio disegno politico. Lai rischia 14 anni per accuse non collegate alla draconiana legge di sicurezza nazionale imposta da Pechino a Hong Kong lo scorso 30 giugno, ma altri processi basati invece su di essa potranno essere aperti contro di lui in seguito, trasformando la sua condanna in un ergastolo di fatto.

Qualcosa di simile è ciò che molti sostenitori di Joshua Wong temono che possa accadere anche a colui che nonostante la giovane età (ha solo 24 anni) è da lungo tempo il volto più famoso nel mondo della resistenza democratica di Hong Kong. Segnali inquietanti sono già visibilissimi per chi è disposto a coglierli. Già è indicativo il fatto che a Wong e ai suoi due compagni, Agnes Chow e Ivan Lam, siano state inflitte mercoledì scorso condanne ben più dure di quelle che si aspettavano non avendo commesso azioni violente. Preoccupa inoltre la posizione della ventitreenne Chow, che deve rispondere anche di accuse di violazione della legge di sicurezza: potrebbe in teoria essere tradotta davanti a un tribunale della Cina comunista, in flagrante violazione anche giudiziaria degli impegni presi da Pechino a rispettare fino al 2047 l'autonomia di Hong Kong. Chow rischia insomma di sparire per un tempo indefinito nelle galere cinesi.

E non ci vuol molto a immaginare che infliggere un simile destino anche a Joshua Wong soddisferebbe il desiderio del leader comunista Xi Jinping di dare un esempio a chi ancora a Hong Kong ha voglia alzare la testa.

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