Gli immigrati e la crociata di Papa Francesco

Quello del Papa non è un giudizio morale, da cui ci si può scansare, ma ha la pretesa di essere una costatazione

Gli immigrati e la crociata di Papa Francesco

«Respingere i profughi è un atto di guerra», dice il Papa. Anche pronunciare questa sentenza è un atto di guerra. Francesco ci tira la bomba in casa. In Italia ma anche in ciascuna coscienza. Quello del Papa non è un giudizio morale, da cui ci si può scansare, ma ha la pretesa di essere una costatazione. Tradotto in un Tweet: «Se cacci i profughi, stai facendo la guerra. Poi puoi sostenere che è giusta, ma è guerra #sapevatelo».

Ecco: il Papa ha ragione. Siamo nel bel mezzo di una guerra mondiale a pezzi, come usa dire lui stesso. Il problema è capire che ruolo giocare in questo conflitto sanguinoso per farlo finire. Esiste, secondo Max Weber, l'etica della convinzione (o dei principi) e quella della responsabilità. Quella della convinzione impone a chi è figlio della civiltà cristiana di accogliere chiunque sia in difficoltà, a costo di sacrifici, ma soccorrere. Domando: siamo sicuri che anche questo non sia un atto di guerra? Certo, se io accolgo un disgraziato è un atto buono e pacificatore. Ma accogliere tutti, non diventa un incentivo alla guerra? Non diventa un carburante involontario certo, ma non per questo meno nefasto, della macchina della guerra islamica, che produce profughi e se ne nutre, trasformandoli in armi contro i Paesi in cui li invia, e spremendo loro denaro e finanziamento per le armi? Troppo facile dire: logico, fa il Papa. Le sue parole hanno un intento che va oltre l'invito ai singoli. Oggi è l'autorità più forte del pianeta. Sposta mondi, questo Papa. Se non fosse andato a Lampedusa l'8 luglio del 2013 a gridare contro la «globalizzazione dell'indifferenza» e a «chiedere perdono per i morti che nessuno piange», è probabile che l'Italia avrebbe adottato una linea diversa da quella dell'accoglienza di tutti, senza respingimento di nessuno, proprio di nessuno. Va bene non respingere.

Ma tenerceli tutti, va proprio bene? Non asseconda una specie di darwinismo che premia tra i poveri quelli più forti, per cui alla fine c'è una gara dove chi arriva vince il premio dell'accoglienza? Ecco, c'è l'etica della responsabilità: chiede di fare i conti con la conseguenza delle proprie scelte. Tocca specie alle autorità dello Stato questo discernimento. Può voler dire sostenere l'accoglienza, impedire la morte, ma tutelare l'equilibrio sociale senza cui gli atti di carità, che nessuno può vietare ed anzi vanno incoraggiati, possono essere mancanza di prudenza. Etica della responsabilità significa ad esempio dar guerra a chi produce profughi. Persino uccidere chi uccide i bambini e gli inermi. Creare le condizioni perché i violenti non l'abbiano vinta. Prosciugando le fonti dell'iniquità. Con le armi, anche con le armi. Oggi, accanto a queste due etiche, ce ne sono altre due. L'etica farisaica e filistea oggi dominante, quella della sinistra al caviale. Siamo certi plaudirà al Papa. È formidabilmente sicura nei suoi attici e sui suoi terrazzi, versa l'obolo magari per un'adozione a distanza e dà il 5 per mille a Emergency, ma carica di pesi che non tocca neppure con un dito i povericristi delle periferie. Inoltre, accanto a questa, e simmetrica, cresce l'etica dei propri comodi, innalza a diritto la facoltà di essere egoisti.

Certo non è reato. Ha un aspetto anticonformista: rompe il politically correct. Ma siamo sicuri che conviene? Ci si illude di risolvere il problema difendendo con le unghie e con i denti il proprio giardinetto. Come l'autista del bus di Genova, che mentre il branco malmenava a morte un presunto gay vicino a lui, ha fatto ricorso alla saggezza del nonno: mi faccio gli affari miei. Saremmo complici. E prima o poi, la campana suonerebbe anche per chi pensa di non c'entrare nulla, di aver evangelicamente nascosto il suo talento sotto terra per non metterlo in pericolo. Illusione. Qualsiasi atto, qualsiasi non-atto entra nello scacchiere globale di uno scontro bellico. Che fare? Accogliere tutti? I profughi ok. Altra questione sono i migranti «economici». Ma se glielo si domanda al Papa, di certo chiederebbe di non fare differenza. In America Latina, il mese scorso, il Papa è andato oltre, ha detto che oltre al dovere di accogliere, esiste il diritto di poter accogliere anche quando lo Stato ha leggi che lo vietano. Per intenderci: se il Papa avesse casa a Londra, sarebbe apologia di reato, visto che lì si comminano 5 anni di carcere a chi ospita clandestini. Come la mettiamo, allora? Qualcuno – lo ha ripetuto Matteo Salvini - dice al Papa, pensando di metterlo in difficoltà, «ospitali tu in Vaticano, nei conventi e nelle canoniche». La cosa avrebbe una sua logica. Ma ho timore che Francesco lo faccia sul serio. Non escludo che abbia già in mente di dare questa disposizione, come Pio XII fece con gli ebrei, a monaci e curati.

Con il che ci sarebbe senz'altro un nuovo tipo di dissenso cattolico, e molti abitanti di case prossime a monasteri e canoniche furibondi. E allora prendiamoci nello stomaco il pugno di Francesco, sperando che abbia misericordia anche di chi non ce la fa ad accoglierli tutti.

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