L'ultimo paradosso del Pd: fare il tifo per Berlusconi

I democratici guardano al Cav per la legge elettorale. E Letta pensa al 2018: "Servirà una grande coalizione"

L'ultimo paradosso del Pd: fare il tifo per Berlusconi

Anche Enrico Letta tifa per Silvio Berlusconi, che già vede nella stanza dei bottoni dopo le elezioni politiche del 2018: «O nella prossima legislatura ci sarà una grande coalizione, o sarà molto complicato», dice.

E certo l'ex premier, che da quando nel 2014 venne spodestato da Palazzo Chigi ha il dente avvelenato con Matteo Renzi, lo dice anche per buttare la croce di ogni problema italiano addosso al suo successore. Ma sta di fatto che il Cavaliere, nelle analisi e nei progetti di gran parte dei protagonisti politici di questa paludosa stagione post 4 dicembre, è tornato al centro di quasi tutti i giochi. Nel centrodestra, dove anche Matteo Salvini deve abbassare le penne e assicurare che col leader di Forza Italia la Lega è pronta a «fare una federazione», e ad archiviare le primarie con cui sognava di intestarsi la guida lepenista dello schieramento. Ma anche nel centrosinistra, dove il Pd lo vede come l'interlocutore principale per decidere come modificare la legge elettorale.

Non che Matteo Renzi abbia fretta, sull'argomento: «Se ne parlerà dopo il congresso del Pd», ripetono i suoi. Prima devono essere chiari i rapporti di forza nel partito, poi il segretario, nuovamente investito dalle primarie, si metterà alla testa delle manovre parlamentari sulle nuove regole. Per ora, gli ambasciatori del centrodestra che - guidati da Gianni Letta - hanno cercato abboccamenti con il Pd per trattare, si sono sentiti rimandare a dopo il 30 aprile. Anche se su un punto i renziani hanno detto chiaramente che non ci staranno: il premio deve restare alla lista (nel caso raggiunga il 40%) e non alla coalizione, come chiedono i berlusconiani. Renzi non vuole ricominciare con le alleanze pasticciate piene di partitini ricattatori, alla Prodi o alla Bersani. E non vuole neppure regalare questa chance a Berlusconi, che alla testa di una coalizione larga di centrodestra può - a dar retta ai sondaggi - puntare alla vittoria. Mentre il segretario Pd conta sul leader di Forza Italia per mantenere alte le soglie di sbarramento, in modo da limitare la frammentazione nella prossima legislatura.

Non a caso il principale competitor interno di Renzi, Andrea Orlando, sta scatenando la guerriglia su questo fronte. Ieri i suoi sono partiti all'attacco del segretario uscente, chiedendo a gran voce che il Pd abbandoni la posizione di bandiera a favore del Mattarellum e metta subito sul tavolo una sua proposta. «Basta balletti sul Mattarellum, il Pd lavori una legge che dia spazio a coalizioni solide, risparmiando all'Italia un futuro di larghe intese», dice l'orlandiano Misiani. Il ministro della Giustizia non si è sbilanciato troppo sul modello di legge elettorale che vuole, limitandosi a parlare di «premio di governabilità». Ma si capisce che gli orlandiani tifano per il premio alla coalizione, che porti il Pd a creare un'alleanza con i vari pezzetti di sinistra (da quella di Pisapia al partitino dei reduci Pci di D'Alema e Bersani). E Orlando sbarra la strada a future larghe coalizioni: «Il punto - spiega - è evitare di costringere ad alleanze, dopo le urne, forze che hanno chiesto voti per ipotesi di governo alternative. Si rischierebbe di creare un cortocircuito». Un altolà alle ipotesi di larghe intese.

In netto contrasto con chi, come Dario Franceschini (che sta con Renzi) le ha apertamente perorate, indicando in un'intesa nel futuro Parlamento con i «moderati» berlusconiani l'unico argine possibile alla vittoria dei «populisti» grillini e leghisti.

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