Una storia che arriva dritta dal cuore pulsante della manifattura italiana. Un fatto che tira in ballo il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli. Mentre il governo non è in grado di risolvere la vertenza Whirpool, tanto che i sindacati indicono 16 ore di sciopero negli stabilimenti, un altro caso scuote il Mise.
Esiste un impianto industriale all'avanguardia che rischia di essere chiuso per colpa di una gestione poco accorta. Siamo in Alto Adige: modello di autonomia ed efficienza. In questo luogo incantato, però, c'è un problema legato a una crisi industriale che rischia di mandare sul lastrico centinaia di famiglie. È una piccola Ilva arroccata sulle Alpi.
Si chiama Solland Silicon. Azienda cresciuta a Sinigo a due passi da Merano, ritenuta troppo italiana (per maestranze, storia e dirigenza) e troppo eccellente nel campo della produzione di silicio, da mandarla in malora. Lo stabilimento è l'unico in Europa, insieme con un altro in Germania, che ha la tecnologia per produrre il polisilicio iperpuro che è il materiale essenziale per costruire pc e più in generale tutta la microelettronica. Gli unici altri produttori al mondo sono negli Stati Uniti e in Giappone. Un'eccellenza. La microelettronica è un settore strategico che ogni governo nei Paesi avanzati tutela e promuove. Ma non il nostro, a quanto pare.
La Solland va in crisi a causa della decisione del precedente proprietario statunitense di delocalizzare la produzione in Corea del Sud. Il know how rappresenta 60 anni di primato tecnologico che l'Italia può vantare. La produzione dà lavoro a 250 persone a pieno regime, ma non sono solo i posti di lavoro che si vuole proteggere, bensì le conoscenze di altissima tecnologia nella fisica dei materiali che queste persone posseggono. Qualcosa che dobbiamo preservare perché da questo lavoro si possono in futuro produrre altri materiali avanzati come il carburo di silicio, fondamentale per le automobili elettriche per esempio. L'impianto è nuovissimo ed è costato oltre 400 milioni di euro. Una bomboniera, insomma. Peccato che il governo sia del tutto assente. Nonostante un colosso cinese sia interessato all'affare, nulla pare scolpire l'incapacità dell'esecutivo giallorosso. Già perché un importante gruppo, guidato da Ren Jianxin, che ne è presidente vorrebbe rilevare l'impresa. Lui è un pezzo da novanta dello Stato cinese. Ex presidente Chem China, la più importante azienda chimica del Dragone. Ed ex presidente Pirelli. Sbattere la porta in faccia al presidente Ren, equivale a sbattere la porta in faccia a Pechino. Ma da queste parti sembra che nessuno l'abbia compreso veramente.
Viene formalizzata una proposta d'acquisto e di rilancio per la Solland. In ballo svariati milioni di euro. Insieme a due importanti mediatori italiani, la società si reca presso l'ambasciata italiana a Pechino il 5 dicembre scorso.
L'obiettivo è cercare un contatto con il Mise. Ad oggi, però, nessuna risposta. Ne segue un imbarazzo generale che arriva fino all'estremo oriente con buona pace per quelle famiglie di operai appese a un filo. E sul piede di guerra.
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