Nella nuova scuola rimandato il merito

C on qualche settimana d'anticipo il Consiglio dei ministri rompe oggi l'uovo di Pasqua e scarta la sorpresa (...)

(...) ancora avvolta nel mistero: la riforma della scuola. Vedremo il testo, ma intanto sono state declamate a rullo di tamburo le «linee guida» di una legge che ci allarma moltissimo perché c'è da temere che funzioni da pietra tombale sulla possibilità di una vera, futura riforma. Siamo pessimisti? Giudicate voi.

Renzi fin da quando è entrato a Palazzo Chigi ha parlato spesso della scuola, ma sempre e soltanto riferendosi a vetri rotti, aule fatiscenti ed edifici malconci. E, certo, è cosa buona e onesta che il governo della Repubblica metta finalmente mano ai problemi dell'edilizia scolastica in modo che alunni e insegnanti non rischino la salute e talvolta la pelle.

Ma poi? Che altro? Dovendo scegliere fra due opposti obiettivi - la scuola come produzione di cultura oppure la scuola come posto di lavoro - sceglie senz'altro il secondo: la scuola è prima di tutto un «posto di lavoro». Quanto alla produzione della cultura e alla preparazione dei giovani cittadini, poi si vedrà dopo aver assicurato il posto a una quantità di precari - 150mila - che hanno patito per molti anni le pene di una condizione instabile, ma che non sono mai stati selezionati, giudicati, misurati, abilitati come insegnanti. Tutti insieme appassionatamente, fra pochi mesi saranno docenti in pianta stabile, inamovibili fino alla pensione. Ora, facendo una stima a occhio possiamo sperare che il 70 per cento di questi docenti che ha vissuto l'umiliazione delle supplenze e delle sostituzioni mendicando ore di lavoro dai presidi, possa confermarsi valido. E dunque dobbiamo riconoscere che un'altra fetta (il trenta?) sia al di sotto dello standard minimo desiderabile e farà danni, soltanto danni per i prossimi decenni. Renzi dirà: e che dovevo fare, cacciarli? Risposta: se proprio doveva assumerli, almeno doveva separare i meno capaci e proporre loro contratti come guardiani dei musei, bibliotecari alla biblioteca di Stato, o metterli alla digitalizzazione della burocrazia. Invece, tutti in classe, tutti in cattedra. Abbiamo ascoltato interviste radiofoniche ad alcuni di loro che fanno venire i brividi. Il che significa che i giovani cittadini italiani saranno esposti alle radiazioni nocive del caso e della raccomandazione per vedersi assegnare docenti degni del loro incarico. Ci è sembrato del resto che fin dal primo momento Renzi abbia corteggiato elettoralmente gli insegnanti, senza distinzioni. Si è abbandonato alla retorica più banale perché egualitaria mentre allo stesso tempo annuncia l'avvento della meritocrazia che non si capisce da dove venga fuori. Vedremo oggi il testo, ma intanto è stato chiarito e messo per iscritto che insegnare non significa conoscere la materia ma avere la capacità di trasmetterne i contenuti? È stato stabilito che l'Italia non può essere l'unico Paese dell'emisfero occidentale in cui si valutano gli studenti attraverso la sola finzione teatrale delle «interrogazioni» e che si deve usare la prova scritta per valutare in modo certo?

Il presidente del Consiglio annuncia che dal 2016 le assunzioni avverranno solo per concorso. Dunque quella che passerà oggi che cos'altro è se non una sanatoria? E sulla pelle di chi, se non della produzione della cultura e dei giovani cittadini? Il presidente del Consiglio è un eccellente propagandista di se stesso e ha capito che la sinistra, almeno a parole, deve usare un linguaggio inusitato e rubacchiato in area liberale: espressioni ormai di pallido significato come merito, carriera dei docenti, valutazione, basta con le scorie del '68, hanno ormai il suono della pura banalità se non sono sostenute dagli strumenti, di cui per ora non si vede traccia. Quelle espressioni retoriche hanno però un suono moderno e coprono come una foglia di fico la sanatoria che castigherà i bravi insegnanti e i bravi studenti.

In compenso, quelle stesse espressioni usate nel denso chiacchiericcio renziano, indispettiscono la sinistra del Pd che grida scioccamente al «berlusconismo» ogni volta che si imbatte in una allusione al mondo liberale che non c'è. Questa ci sembra una trascurata e scaltra figura retorica dell'armamentario comunicativo di Renzi: l'allusione. La riforma oggi sul tavolo «allude» a contenuti che non può raggiungere ma che simulano una modernità.

Machiavelli, conterraneo di Renzi, descriveva questa capacità allusiva descrivendo le manovre militari come finzioni fatte con l'uso di speroni di legno e pitture di gesso per simulare gli accampamenti.

Quando si va sul concreto, ciò che di solido resta della riforma, sono le riparazioni delle finestre e i necessari rattoppi di cui la scuola, intesa come edificio, ha urgente bisogno.

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