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Il Papa accusa gli Usa ma così fa il gioco di chi attacca Israele

Se si vuole veramente la pace non basta criticare certi radicalismi

Il Papa accusa gli Usa ma così fa il gioco di chi attacca Israele

L'ultima citazione nel discorso del Papa di Bari è bella per chi la legge da Gerusalemme, perché qui la si vede in opera ogni giorno: «Ricostruiranno le vecchie rovine, rialzeranno gli antichi ruderi, restaureranno le città desolate, devastate da più generazioni». È quello che accade: Gerusalemme, capitale d'Israele, tutti i giorni è più bella, più aperta, più libera per chi visita dal Santo Sepolcro alla Spianata delle Moschee, dal Quartiere Tedesco ai mall pieni di arabi e di israeliani mescolati nei caffè e negli acquisti; a chi si trova a dover visitare un malato negli ospedali; a chi va a incontri importanti nelle fabbriche high tech o negli uffici del governo e della Knesset.

Le vecchie rovine sono state ricostruite, e sarebbe così interessante se il Papa, che fu svelto a condannare il riconoscimento americano di Gerusalemme capitale potesse almeno darne nota, insieme a tutta la negatività che promana dai suoi messaggi: essa davvero rischia invece che di aiutare qualsiasi atteggiamento collaborativo e pacifico, di distruggerlo, incitando la fame palestinese di consenso gratuito, il suo sempiterno «no», che ha rifiutato ogni proposta di pace e sostiene il terrorismo.

Sul Medio Oriente, l'atteggiamento di Francesco a Bari è difficile da capire fuori da schemi «intersezionali« di esaltazione del concetto di oppressione, anche quando diventa obsoleto e inesistente: lo sguardo sul Mediterraneo e il Medio Oriente si è dovuto fare più aguzzo a causa dei mille, complicati conflitti che hanno trascinato il Mare Nostrum in un bagno di sangue con cui Israele non ha niente a che fare. È vero che il conflitto fra Israele e Palestinesi è lungi dal concludersi, ma non ha paragone con le centinaia di miglia di morti in Siria, con le aggressioni militari turche, con la guerra in Yemen, con l'espansionismo iraniano che non conosce limiti e che arma fino ai denti, oltre al suo esercito, una forza terrorista come quella degli hezbollah. Le responsabilità sono di chi fa la guerra, ed è facile individuarle, senza esoterismi, Il papa accusa l'Occidente di essere la causa remota e sostanziali delle guerre, del terrore... ma questa tesi sbianchetta le ambizioni dei dittatori e delle milizie terroriste mediorentali, e anche la promessa dell'Iran di cancellare Israele.

Il Papa condanna, sia pure con parole velate, il piano di pace di Donald Trump: è un peccato che si affretti a farlo mentre comincia a lavorare la commissione che deve ridefinire, in un contatto con le parti, la strada definitiva per un accordo. Di fatto il piano ripristina l'abbandonato concetto della risoluzione 242 dell'Onu sui territori disputati e la sicurezza necessaria per ogni accordo, non ignora che ciò che è accaduto in questi anni disegna un grande rischio per lo Stato Ebraico. Il piano prevede uno Stato Palestinese con capitale a Gerusalemme est, promette swap territoriali che impongono a Israele ritiri da porzioni di terreno entro i confini sovrani. Destina 50 miliardi di investimenti allo Stato Palestinese. Ripristina la verità che il popolo ebraico è nato in Israele, e là è tornato. Il «radicalismo e il terrorismo», «il settarismo» cui Francesco allude devono avere un soggetto, altrimenti l'equivoco è troppo grande.

Se il Papa suggerisce che lo scopo di Trump è una trama imperialista e guerrafondaia, Abu Mazen seguiterà nel suo «no» storico, il terrorismo continuerà.

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